I numeri parlano chiaro: gli americani che scelgono di consumare marijuana a cadenza quotidiana sono di più di quelli che invece affermano di bere alcol con la stessa frequenza. A svelarlo è uno studio di recente pubblicato dalla rivista scientifica Addiction, che ha preso in esame i dati raccolti nel lasso di tempo compreso tra il 1979 e il 2022 dalla National Survey on Drug Use and Health (NSDUH); e che di fatto rende evidente un (altro: l’ennesimo, a dire il vero) sintomo di un più ampio cambio di paradigma.
“Anche negli Stati Uniti si beve sempre meno vino“, titolavamo in un pezzo dello scorso gennaio dove, raccontandovi della contrazione dei consumi a stelle e strisce, abbiamo posto l’accento anche e soprattutto su di una crisi più generalizzata che trascende, per dimensione e profondità, il solo contesto americano. Quel che ci interessa, ora, è sottolineare che è difficile parlare di “fulmine a ciel sereno” quando il vino, negli USA così come da questa parte dell’Atlantico, è reduce da un biennio in cui è scivolato sempre più in basso nella lista della spesa: e se parlare dell’impatto su tale contrazione della congiuntura economica avversa è forse fin scontato, pensare che sia l’unica ragione significa peccare di miopia.
Cannabis, alcol, vino: è giusto parlare di crisi?
I nostri lettori più attenti ribatteranno – legittimamente, beninteso – che parlare di vino non significa parlare di alcol tout court; e avrebbero perfettamente ragione. A questo appunto, però, rispondiamo a nostra volta impugnando prove che, di fatto, inquadrano il calo dei consumi anche e soprattutto come fenomeno generalizzato e ormai pervasivo nel mondo degli alcolici: pensiamo ad esempio al più recente Consumer Pulse Report di Cga by Niq, condotto a dicembre 2023, che ha indicato di come un quinto (il 22%, a essere ben precisi) degli italiani intervistati avesse intenzione, all’alba dell’anno nuovo, di abbandonare il consumo di alcol; o ancora alle indagini d’Oltreoceano che vedono gli adolescenti a stelle e strisce sempre più lontani dall’alzare il gomito.
Le coincidenze, badate bene, esistono – ma tendenzialmente smettono di essere tali quando prendono a echeggiare per numero ed estensione. Considerate, infine, che nel nostro excursus abbiamo fino a ora ignorato il cosiddetto vino dealcolato, branca della vinificazione che, come sostengono gli stessi produttori, a oggi ribolle di innovazione e opportunità di crescita (e che, almeno nel contesto italiano, rimane noiosamente – e dannosamente – ancorata all’esercizio retorico).
Torniamo a noi, dunque, e ai risultati dello studio citato in apertura di articolo e che vedono la cannabis superare l’alcol nei consumi giornalieri. I numeri, dicevamo, parlano chiaro: nel 2022 circa 17,7 milioni di persone hanno segnalato di utilizzare marijuana a cadenza quotidiana o quasi (nel 1992 si contava invece solo un milione di persone), mentre coloro che hanno affermato di bere alcol con la stessa frequenza sono “solo” 14,7 milioni.
Attenzione, però: anche considerando quanto visto fino a ora, parlare in termini più rigidamente assoluti di “crisi” potrebbe essere un eccesso di severità. I dati indicano che in generale il consumo di alcol rimane di fatto più diffuso (rispetto a quello di marijuana), ma l’abitudine del consumo giornaliero è semplicemente diminuita. Allo stesso modo, e come fanno giustamente notare gli stessi autori dello studio, i dati più recenti circa l’aumento dei consumi di marijuana sono inevitabilmente “macchiati” dalla sua legalizzazione in molti stati a stelle e strisce; così come ” a una crescente accettazione della droga”.
Una lettura, questa, che permette anche di “ricalibrare”, almeno tematicamente, l’impennata vista dal 1992 al 2022. Jonathan P. Caulkins, autore dello studio e professore universitario di Politica pubblica, ha eloquentemente sottolineato come i dati dell’indagine in questione siano di fatto autodichiarati: “Oggi, sembra che le persone si sentano più a loro agio nel rivelare la loro frequenza di consumo”.