Spesso e volentieri nel parlare della scorsa stagione epidemica di influenza aviaria, a più riprese riconosciuta in maniera unanime dalla comunità scientifica come la più grave di sempre, abbiamo voluto sottolineare come il virus fosse di fatto riuscito a raggiungere un po’ tutto il globo, dall’Europa all’Asia passando anche e soprattutto per gli Stati Uniti e l’America Latina, coinvolgendo tanto i pennuti quanto i mammiferi.
Ben più recenti sono poi le notizie che hanno raccontato di come il virus in questione sia stato individuato anche tra i ghiacci dell’Antartide, che l’hanno visto uccidere per la prima volta un esemplare di orso polare e che, in tempi ancora più recenti, hanno messo in guardia sulla sua presenza nel latte crudo prodotto negli Stati Uniti (con conseguente consiglio dell’OMS a consumare solo ed esclusivamente latte vaccino). L’ultimo “luogo”, per così definirlo, in cui l’influenza aviaria è stata rinvenuta va ancora a coinvolgere i nostri amici a stelle e strisce: uno studio ha fatto emergere la sua presenza nelle acque reflue di nove città del Texas.
Influenza aviaria, dai pennuti alle acque reflue
Vale la pena notare che lo studio in questione, condotto dai ricercatori del Baylor College of Medicine, della University of Texas Science Center e del Texas Epidemic Public Health, ha di fatto preso in esame un numero complessivo di dieci città nel Texas nel periodo compreso tra il 4 di marzo e il 25 di aprile scorso, quando le autorità sanitarie locali hanno segnalato i focolai di aviaria negli allevamenti bovini e un caso di contagio in un essere umano.
I risultati, come accennato in apertura di articolo, parlano chiaro: il virus dell‘influenza aviaria è stato trovato in nove delle città prese in esame, ed è bene sottolineare che gli stessi scienziati, pur non avendo specificato i centri abitati coinvolti nelle loro indagini, abbiano parlato di un’area con una popolazione di milioni di abitanti.
Allo stesso tempo, a livello più ampio, i Centri statunitensi per il controllo e la prevenzione delle malattie (CDC) hanno avviato una campagna di monitoraggio delle acque reflue trovando picchi di di influenza A – di cui l’H5N1 è un sottotipo – in più di seicento strutture complessive. La lettura degli scienziati è che tali prove indichino la presenza di animali infetti in modo asintomatico e dunque una maggiore diffusione effettiva dell‘epidemia.
Alla luce di un recente caso di contagio umano a Hong Kong, che ha fatto presagire il tanto paventato passaggio da uomo a uomo che potrebbe innescare una nuova pandemia, le autorità sanitarie hanno ritenuto opportuno ripetere che “il virus finora non mostra segni di adattamento alla diffusione tra gli esseri umani”. L’ipotesi di un nuovo scenario pandemico, però, non è da scartare: “L’adattamento del virus all’uomo non è ancora efficiente” ha spiegato Gianni Rezza, docente straordinario di Igiene all’Università Vita-Salute San Raffaele di Milano. “È difficile dire se si adatterà all’uomo tanto da diventare trasmissibile da persona a persona. Si può escludere? No. Succederà sicuramente? Non lo sappiamo”.