“Alcuni di voi potranno rimetterci, ma è un sacrificio che sono disposto a fare”. Dazi, minacce, vino: questa l’insalata di parole pericolosamente coerenti che da una decina di giorni a questa parte – da quanto Donald Trump ha minacciato tasse del 200% sulle produzioni europee, di fatto – tormenta sogni e progetti e ottimismi di chi, con e attraverso il vino, porta a casa la pagnotta. Ma è anche un caso di fuoco amico.
La supertassa, se così la vogliamo battezzare, è nata come risposta alla tariffa europea sul whisky a stelle e strisce. L’antica legge dell’occhio per occhio, com’è ovvio: peccato che così si diventa ciechi. E in California c’è già chi comincia ad accusare i primi sintomi di cataratta.
La versione dei produttori americani
“Sarà una gran fortuna per le aziende produttrici americane”, aveva spiegato il POTUS riferendosi alla supertassa di cui sopra. E se di fatto c’è chi si dichiara cautamente ottimista, diversi produttori californiani – cuore di carne rossa dell’industria vinicola statunitense – temono che i dazi potrebbero rappresentare il colpo di grazia a un settore già notoriamente fragile.
Due direttrici, l’una globale e l’altra locale: domanda in calo e vendemmie compromesse da incendi e dalla siccità. I dazi, dicevamo, hanno il sentore dell’esecuzione. John Williams, fondatore di Frog’s Leap, celebre azienda della Napa Valley, è stato sintetico ma eloquente: “Tutto questo non sarà positivo per il nostro settore” ha spiegato, riferendosi ai dazi trumpiani.
Le tasse, com’è chiaro, potrebbero rendere il vino europeo sensibilmente più costoso; e il timore di Williams, non a caso, è rivolto in primis ai distributori, e cioè quegli intermediari che acquistano il vino dai produttori per poi venderlo a enoteche, negozi e ristoranti. “Facciamo tutti affidamento sugli stessi distributori”, ha spiegato alla CNN. “La salute di queste figure è importante per le aziende vinicole di tutto il mondo”. C’è però anche chi pensa che il braccio di ferro potrebbe portare beneficio ai colossi del settore: ma come?
Gli amici della US Customs and Border Protection offrono rimborsi di determinate categorie di dazi, tasse o imposte che vengono pagate sugli articoli importati; a patto che il soggetto in questione esporti allo stesso tempo articoli della stessa tipologia. Il dado è tratto: i colossi del mondo degli alcolici potrebbero essere incoraggiati a importare un gran numero di prodotti europei a grande prezzo, così da massimizzare i rimborsi quando si attiva il flusso in export.