La pasta e la pizza. Cosa c’è di più italiano? Certo è difficile che si possano mangiare insieme. Però sono alternative, quindi possono allearsi. Ed è quello che è successo con due giovani brand italiani: Miscusi e Berberè, pasta fresca e pizza a lievito madre. In nome della sostenibilità e della dieta mediterranea. Ma anche dei piani di conquista del mondo: l’operazione difatti vede Miscusi acquisire una quota di Berberè, non è una integrazione alla pari anche se la quota è di minoranza e i fratelli Aloe rimangono alla guida della catena non-catena di pizzerie. L’azienda basata sulla pasta fresca ha dietro notevoli investimenti, anche se pure Berberè ha già tra i soci lo storico marchio di biologico Alce Nero.
Insieme, contano 30 locali tra l’Italia e l’estero, 600 collaboratori tra i due team e un fatturato aggregato che, alla fine del 2022, dovrebbe toccare i 40 milioni di euro. Uno sviluppo che non si ferma, con Berberè che cresce del 20% e Miscusi che si prepara a due nuove aperture importanti: a giugno la seconda apertura a Londra, dopo la prima che è stata anche la prima sede all’estero, e a settembre la terza a Torino. Il gruppo si prepara ad un nuovo fundraising per accelerare l’espansione, conquistare le capitali Europee e superare 100 milioni di euro di fatturato nel 2024.
Promotori dei “Good Carbs”, miscusi e Berberè sono uniti da una missione comune: diffondere la dieta Mediterranea. Da un lato Berberè, dal 2010 impegnata a portare in tavola pizze realizzate con farine biologiche, lievito madre, e lievitazione lenta. Pluripremiata, anche dalla nostre recensioni da Torino a Firenze passando per Milano. Dall’altro Miscusi, brand della pasta certificato B-Corp – la certificazione internazionale di sostenibilità ambientale – nato un paio d’anni prima del Covid.
“Ci conosciamo da tanti anni, ho sempre avuto molta stima di Salvatore e Matteo, due fratelli con una passione immensa per quello che fanno che si sente tutta quando mangi la loro pizza. Abbiamo investito in Berberè per iniziare un progetto che vedrà nascere un gruppo che mette a sistema prima di tutto tecnologia e filiera, i due asset che reputiamo più importanti per la rivoluzione di cui abbiamo bisogno: quella dei contadini – racconta Alberto Cartasegna, co-founder e CEO di miscusi entrato a far parte del CDA di Berberè in seguito all’investimento – serve una rivoluzione copernicana: siamo quello che mangiamo. Dobbiamo conoscere e rispettare il cibo, ne va della nostra salute e di quella della nostra terra. Che poi è la stessa cosa. Guardo con grande positività al futuro: oggi si parla tanto di cambiamento climatico, il food giocherà un ruolo chiave, il 25% delle emissioni di CO2 deriva dalla produzione alimentare. Con miscusi abbiamo investito milioni di euro in capitale umano e tecnologia, girando l’Italia in lungo e in largo, prendendo accordi diretti sui campi, disintermediando le logiche di mercato e costruendo una squadra di biologi, nutrizionisti, chef e agronomi”.
“In miscusi abbiamo trovato delle persone con grandi competenze e con una visione simile alla nostra riguardo al fare impresa nella ristorazione nel nostro paese. È stato bello da subito condividere le idee per trovare soluzioni, il Covid ci ha poi avvicinato ancor di più e abbiamo considerato l’opportunità di lavorare assieme su molti aspetti comuni per essere ancora più organizzati e affrontare i prossimi anni con competenza e strumenti, necessari per le sfide che ci attendono – commentano Salvatore e Matteo Aloe di Berberè – Così come, abbiamo fatto nel 2015 con l’entrata di Alce Nero, oggi abbiamo aperto le porte anche ad Alberto e a miscusi, con la certezza che le tre aziende assieme potranno fare grandi cose per se stesse, per le persone che lavorano, per i clienti e per il pianeta”.