Negli anni ’80 a Milano si registravano oltre cento omicidi l’anno a stampo mafioso, secondo i dati della Direzione distrettuale antimafia. Ora, rimanendo nello stesso contesto territoriale, il numero è sceso a zero – ma questo non significa certo che la mafia sia stata debellata dal capoluogo lombardo. Come ha fatto presente la coordinatrice della DDA Alessandra Dolci, infatti, la criminalità organizzata ha semplicemente cambiato volto, diventando di fatto di stampo imprenditoriale: i malviventi sono infatti soliti reinvestire i propri capitali in bar e ristoranti, in particolare nei quartiere periferici, in modo da marcare il proprio territorio.
In questo contesto, l’intervento delle forze dell’ordine locali diventa determinante. Viene da sé che, poiché l’attività in questione marca per l’appunto i confini della propria zona, il mafioso di turno in quel locale di andrà spesso. Secondo Dolci, è fondamentale persuadere la moralità anche degli stessi soggetti privati coinvolti: “Non possiamo imporre al privato di chiedere ogni volta la documentazione antimafia” ha spiegato a tal proposito. “Bisogna sensibilizzare gli operatori economici e di categoria sulle conseguenze delle infiltrazioni mafiose”.
Importante notare, infine, che oltre a investire in bar e ristoranti la mafia a Milano ha mani anche nello spaccio di droga. “Milano è uno dei principali luoghi di smistamento di sostanze stupefacenti nel Nord Italia” ha spiegato ancora Dolci. “A fronte di questa emergenza è stata importante la sinergia tra istituzioni politiche, prefettura e associazioni di categoria. Ad esempio, Rogoredo è diventata un’area fruibile per i cittadini grazie a questo tipo di interventi. La maggior parte dei proventi del traffico di droga vengono reinvestiti nell’economia legale”.