Sette arresti per mettere fine a una serie di (almeno, badate bene) sedici colpi, tutti avvenuti ai danni di negozi di abbigliamento e alcuni ristoranti sparpagliati per le strade del centro di Milano. Uno su tutti, di cui a onore del vero parlammo anche su di queste pagine, il Coraje di Lautaro Martinez, aperto un paio di anni fa circa in quel di Brera, zona notoriamente ricca, e colpito dalla cosiddetta “banda delle spaccate” verso la fine di settembre 2023.
Come vi raccontammo a tempo debito il ristorante in questione, intestato di fatto ad Augustina Gandolfo, la moglie dello stesso numero dieci nerazzurro, fu derubato da un gruppo di quattro uomini, tutti con il volto celato da un cappuccio o da un passamontagna, che riuscirono a intrufolarsi al suo interno forzando una delle porte secondarie del locale nel cuore della notte. È bene notare che il gruppo di ladri, al di là della forzatura di cui sopra, non aveva danneggiato il mobilio o le vetrine del ristorante, limitandosi piuttosto a prelevare dalle casse un migliaio di euro circa.
La “banda delle spaccate”: un’occhiata all’identikit della Polizia di Milano
Sono sette in tutto, come dicevamo in apertura di articolo, le persone arrestate nel corso delle ultime ore dalla Polizia di Stato, coordinati dalla Procura di Milano. Stando a quanto lasciato trapelare dai rapporti delle forze dell’ordine gli stessi agenti avrebbero eseguito una ordinanza di custodia cautelare in carcere a carico di sei uomini, di età compresa tra i 46 e i 57 anni, più una donna di 47, identificati per l’appunto come i membri della cosiddetta “banda delle spaccate“.
Pare che sia stato determinante, al fine di identificare i criminali, definire il modus operandi degli stessi: gli agenti in divisa del Commissariato Centro, infatti, hanno visionato le immagini registrate dalle telecamere di videosorveglianza installate all’interno o nelle aree limitrofe degli esercizi colpiti – compreso il ristornate di Lautaro Martinez, ovviamente – e notato che i ladri erano soliti approcciarsi ai locali in bici o con monopattini, forzavano le porte d’ingresso utilizzando, nei casi più difficili, anche il flessibile, e infine fuggivano con casse e casseforti. Il tutto, è chiaro, curandosi di mantenere il volto celato con sciarpe, passamontagna, cappucci e simili.
Gli agenti avrebbero dunque incrociato i file delle banche dati della Polizia e le foto pubblicate dagli stessi indagati sulle proprie vetrine social prendendo in analisi, infine, i dati telefonici e le immagini dei sistemi di videosorveglianza.