Il miele italiano soffre, schiacciato tra lunghi periodi di siccità e improvvisi cali di temperature che inaugurano strascichi di freddo anomalo. Dati alla mano, la produzione di miele primaverile (che di fatto rappresenta la stragrande maggioranza) è di fatto crollata dell’80% rispetto all’anno precedente – una caduta libera che segue la produzione del 2022, che fece registrare 23500 tonnellate, in crescita sul 2021 ma comunque al di sotto delle potenzialità che, di fatto, si sono ridotte del 23% nel corso dell’ultimo decennio. In altre parole, la “crisi” del miele – e delle api con esso – è un innegabile sintomo di sofferenza o di cattiva salute dell’ambiente.
Miele: un’analisi del crollo della produzione
Come accennato in apertura di articolo il freddo anomalo e il lungo periodo di siccità sono i principali indiziati per il crollo della produzione di miele: la lettura proposta dagli esperti è che la pioggia e il vento abbiano rovinato i fiori e impedito alle api di volare, limitando a un minimo le importanti attività di impollinazione. La Fao sostiene che ben tre colture alimentari su quattro dipendano, per resa e qualità, dal lavoro delle api – colture che comprendono anche alimenti di comune consumo come mele, pere, fragole, ciliegie, cocomeri e meloni.
È importante considerare, allo stesso tempo, l’impatto dell’utilizzo estensivo di pesticidi e altre sostanze chimiche nocive per le api: solamente negli ultimi anni, dopo una lunga serie di dibattiti rinforzati da un gran numero di studi d’impatto, la Commissione europea ha deciso di introdurre una serie di restrizioni e divieti per quanto concerne l’impiego di neonicotinoidi, concianti per le sementi del mais individuati come responsabili della moria di api in tutto il Vecchio Continente.
Ma torniamo a noi – è naturale che, considerato il calo repentino della produzione nazionale di miele, il mercato si sia aperto per assorbire una maggiore quantità di merce in importazione, con il flusso in entrata che di fatto è cresciuto del 12% nel 2022 con oltre 26500 tonnellate provenienti – secondo la denuncia della Coldiretti – anche da Paesi che non sempre si impegnano a rispettare gli altrimenti elevati standard di produzione europei.
È interessante notare, rimanendo in questo contesto, che secondo un rapporto risalente a questa primavera quasi la metà del miele importato in Europa è di fatto “falso” o, se preferite, adulterato; ossia composto da sciroppi di zucchero ricavati da grano, riso e barbabietola da zucchero. I principali carichi incriminati provengono dalla Cina (74%), mentre la Turchia (93%) e il Regno Unito (addirittura 100%) detengono il primato rispettivamente per il numero più alto di campioni “sospetti” e “dubbi”.