Appoggiarsi al bagaglio di notorietà della carne per promuovere prodotti vegani – bresaola di seitan, bistecca di tofu o, più generalmente, prosciutto veg – potrebbe essere punito con multe fino a 7500 euro. L’idea arriva dalla Lega, che ha di recente presentato una proposta di legge alla Camera per evitare che gli operatori del settore alimentare possano “utilizzare denominazioni di vendita che richiamano la carne”. In altre parole, lasciate la parola “carne” a tutto ciò che, di fatto, contiene della carne: sì al prosciutto, sì alla mortadella, sì alla bresaola… Insomma, ci siamo intesi: che le alternative a base vegetale si trovino il loro nome di battesimo. È la battaglia per il cosiddetto meat sounding.
Meat sounding: i prodotti vegani con nomi “da carne” ingannano i consumatori?
È una domanda complicata, e per rispondere adeguatamente sarebbe necessaria un’ampissima digressione. C’è chi potrebbe sostenere, ad esempio, che i prodotti in questione – come il sopracitato prosciutto veg o bistecca di tofu – si appoggino, come se fosse una stampella, al bagaglio culturale della carne per offrire una soluzione di continuità a chi ha intenzione di migrare, anche gradualmente, da una dieta onnivora a una vegana o vegetariana.
D’altro canto c’è una frangia, leggermente più radicale, che trova bislacca la necessità dell’industria delle alternative vegane di cercare l’appoggio della carne, quasi come un bambino che cerca lo sguardo di approvazione dei propri genitori. C’è da considerare, infine, che con ogni probabilità coloro che hanno intenzione di acquistare prodotti vegani come la bresaola di seitan sono consumatori informati che sanno esattamente a cosa stanno andando incontro.
La Lega, tuttavia, non la pensa così; e parla di “inganno per i consumatori” sulle false note del più conosciuto italian sounding. Da qui l’idea del meat sounding, per l’appunto: un prodotto che ci ricorda la carne, che ha lo stesso suono, ma che non lo è. Nella sopracitata proposta, che in prima firma porta il nome del deputato Mirco Carloni, si sottolinea come “stabilire l’esclusivo uso dei nomi propri della carne e delle sue preparazioni con riferimento ai soli prodotti contenenti proteine di derivazione animale è un’operazione di giustizia sociale”.
Da qui la formulazione di sette articoli tesi a stabilire le corrette definizioni dei vari alimenti, con tanto di sanzioni. Riportiamo, a tal proposito, un estratto dell’articolo sette: “Salvo che il fatto costituisca reato, in caso di violazione del comma 1 nell’ambito dell’attività di impresa e in relazione alla quantità di prodotto venduta o distribuita a titolo gratuito, si applica la sanzione amministrativa pecuniaria da 500 euro a 7.500 euro“.
In definitiva, un prodotto vegano non deve fare uso di “denominazioni legali riferite alla carne, a una produzione a base di carne o a prodotti ottenuti in prevalenza da carne; riferimenti a specie animali o a gruppi di specie animali o a una morfologia o a un’anatomia animale; terminologie specifiche della macelleria, della salumeria o della pescheria; nomi di alimenti di origine animale rappresentativi degli usi commerciali”.