È più diplomatico di quanto non sia stato Niko Romito, Massimo Bottura, nella sua prima intervista all’indomani della premiazione della 50 Best Restaurants, dalla quale – lo ricordiamo, nel caso ce ne fosse ancora bisogno – l’Italia è uscita globalmente con risultati un po’ deludenti.
Se per Romito, infatti, la vittoria era tutta una questione di PR; per Massimo Bottura (l’anno scorso chef numero 1 al mondo per la classifica, e quest’anno fuori gara, relegato con gli altri ex vincitori nella Hall of Fame) a essere premiata dalla giuria è stata non tanto la capacità di fare pubbliche relazioni, quanto l‘etica.
Lo chef dell’Osteria Francescana lo spiega a Repubblica, nel corso di un’intervista in cui racconta la rivoluzione umanistica che, a suo dire, sta vivendo la cucina internazionale: “Oggi si parla dei cuochi in termini ben diversi rispetto alla capacità di tagliare due carote, brasarle e disporle con simmetria sul piatto. Non è più così fondamentale dire chi è il miglior cuoco giapponese o se il miglior giapponese è migliore del miglior cuoco norvegese. L’estetica è stata finalmente affiancata dall’etica. E quindi, diventa prioritario determinare chi ha la maggiore capacità di impattare positivamente sulla comunità internazionale”.
In effetti, una crescente attenzione ai temi etici, politici e sociali, nelle premiazioni della 50 Best, era parsa evidente anche a noi, con gli ultimi awards vinti, ad esempio, da esponenti di successo della migliore immigrazione americana. Prendiamo Daniela Soto Innes, dichiarata ad aprile la migliore chef donna al mondo: un’imprenditrice di origine messicana, arrivata nella terra dell’American Dream (e del presidente Donald Trump, che i Messicani vuole lasciarli al di là del muro) e trovatasi oggi al top della cucina mondiale.
Stesso discorso, ancor più accentuato, per Jose Andrés, lo chef più iconico dell’anno secondo la 50 Best Restaurants 2019: un immigrato europeo che ha portato la cucina spagnola a Manhattan, ma che soprattutto (e questo probabilmente è il vero motivo del suo essere così iconico) ha da sempre interpretato la cucina come una missione (anche) sociale, affiancando al suo lavoro di chef quello umanitario, con la sua World Central Kitchen, associazione no-profit dedicata a sfamare i più sfortunati e poveri del mondo.
E perfino Mauro Colagreco, vincitore assoluto della 50 Best, è il rappresentante di un melting pot di nazionalità: Argentina, Italia, Francia e Brasile. Il simbolo di una commistione di razze, di un fusion di popoli e tradizioni che, quantomeno in cucina, è una scelta vincente.
Ed è esattamente questo ciò che intende Bottura: il segreto del successo è anche una maggiore inclusione, anche di genere. “Prendete Daniela Soto-Innes, premiata come miglior cuoca dell’anno. Brava, ma non incredibilmente brava. Il punto è un altro. Nella cucina del Cosme, il 70% della brigata è costituito da donne e le parole d’ordine sono inclusione, responsabilità, talento”.
Ora, resta da stabilire chi ha ragione, se Romito o Bottura. PR o etica? Forse, hanno ragione entrambi. Perché in fondo, l’etica funziona meglio, quando è comunicata bene.
[Fonte: La Repubblica]