Da una parte quell’efficienza quasi spietata propria della macchina, dall’altra quello spazio di manovra che è invece caratteristico dell’uomo e del suo fare. Massimo Bottura contro Gino Sorbillo: il primo che esalta l’immacolata perizia tecnica della tecnologia, il secondo che difende le macchie di sensibilità.
Il terreno dello scontro, se così vogliamo definirlo, è il discoidale partenopeo per eccellenza, l’oggetto l’intelligenza artificiale. A innescare il tutto è stata una dichiarazione rilasciata dallo chef modenese a Gimmo Cuomo del Corriere del Mezzogiorno in cui, dicevamo, celebrava il grado di precisione superiore offerto dall’intelligenza artificiale, capace di realizzare pizze tecnicamente perfette. Sorbillo non l’ha presa bene.
Il commento di Bottura e la risposta di Sorbillo
Spiega Bottura: “Se la tecnologia ti aiuta a ottenere la perfetta quantità di pomodoro, olio d’oliva e origano, oltre all’impasto e alla cottura alla giusta temperatura, puoi ottenere una pizza napoletana che è uguale a Modena come nella Repubblica Ceca“.
Non è la prima volta che lo chef si lancia in dichiarazioni di questo tono. Appena un manciata di giorni fa, infatti, è stato intervistato da Reid Hoffman, fondatore di LinkedIn, nel suo podcast Possible. Nel suo intervento Bottura ha citato l’esempio di Italpizza, azienda modenese che produce pizze congelate con l’idea di replicare la “ricetta perfetta”, per così dire, della Pizza Napoletana.
Determinante, in questo senso, l’impiego della fredda precisione delle macchine. Come? È presto detto: facendosi carico di quei dettagli che potremmo definire più meccanici o “logistici”, come la temperatura di cottura e l’impasto, permettendo agli chef di concentrarsi esclusivamente sugli aspetti più creativi. L’uomo pensa e la macchina esegue, in altre parole; il proverbiale binomio braccio e mente. Ma sarà davvero così?
L’idea dell’efficienza a ogni costo non finirebbe per standardizzare un prodotto fino a revocare i miti della catena di montaggio taylorfordista? E se i prodotti sono sempre uguali e standardizzati, qual è il senso di avere uno chef? Dove si traccia la linea tra una pizzeria e un “pizzificio”?
Da qui la risposta di Gino Sorbillo che, va doverosamente sottolineato, non è da ridurre a un – pur sempre legittimo, beninteso – tentativo di difendere la sua pretesa a un mestiere: “Il lavoro di stesura della pasta non è un lavoro soltanto meccanico, ma comporta la padronanza di quell’arte immateriale che ci è stata riconosciuta dall’Unesco per manipolare, stendere, condire, infornare e cuocere” spiega il pizzaiolo.
“L’impasto cambia a seconda del momento, dell’umidità, addirittura dell’umore delle persone addette alla manipolazione” continua Sorbillo. “Massimo è lo chef numero uno al mondo, però non riesco a immaginare come l’intelligenza artificiale possa avere la stessa sensibilità umana“.