Protagonista della vicenda chef Mario Di Ferro, gestore del ristorante Villa Zito nel palermitano: la sua era una doppia vita, perché oltre a cucinare spacciava cocaina alla sua vasta clientela, composta anche dalla “Palermo bene”e destinata a vip.
Giusto per fare un esempio, Di Ferro vantava tra i clienti Gianfranco Miccicchè ovvero l’ex presidente dell’Assemblea Regionale Siciliana – a quanto pare, comprava la droga in auto blu con tanto di lampeggiante. Quest’ultimo non è indagato in quanto “solo” consumatore, ma lo chef è ai domiciliari. Antonella Consiglio, gip di Palermo, ha firmato l’ordinanza di custodia cautelare dello chef e di altre cinque persone, per indagini che comunque iniziarono già lo scorso aprile. I due spacciatori che rifornivano Di Ferro, invece, sono stati arrestati. L’inchiesta è coordinata dal procuratore del capoluogo Maurizio de Lucia, e dall’aggiunto Paolo Guido.
Chi è Mario di Ferro
Mario Di Ferro è uno chef noto a Palermo: ha cucinato per Papa Francesco e Papa Benedetto XVI, per Hillary Clinton, per i galà natalizi in onda su Mediaset, e persino per Kofi Annan. Un uomo di Chiesa, un professionista di successo, da sempre vicino a burocrati e politici, nonché cantanti e vip di ogni settore. Ed è stata anche la sua enorme collezione di contatti a garantire il funzionamento di Villa Zito: aveva in mano la “Palermo che conta”, perlopiù in una via nevralgica della città. Tutto ciò, raccontandosi sempre con grande semplicità e attribuendo la propria maestria in cucina alla propria nonna (come fanno tutti i cuochi): “non chiamatemi chef, sono solo un cuoco“. E un pusher…
L’inizio delle indagini
Il procedimento di indagine nacque indirettamente, grazie a un’intercettazione disposta per un altro caso sotto esame. Cercando, si capì che il ristorante Villa Zito era fulcro di spaccio a una clientela selezionata e rinomata, arrivando ad accertare alcuni episodi. Lo chef Di Ferro ordinava la droga anche a Gioacchino e Salvatore Salamone, già condannati per spaccio in un processo sui traffici dei clan mafiosi palermitani, usando poi tre dipendenti come pusher. Palermo è un canale senza sosta per spaccio e consuma di cocaina e droghe, che nemmeno durante il lockdown ha cessato di esistere.
Ad aprile, risultò già che Di Ferro passò 3 grammi di cocaina a Giancarlo Migliorisi – ex dell’Ars come Miccicché: messo alle strette, fu tra i primi a fare il nome dello spacciatore. Spacciatore che, da subito, risultò comunque essere solamente la punta dell’iceberg di uno spaccio ben più vasto e radicato.
La droga acquistata con le auto blu
Gianfranco Miccicchè, tra i clienti di Di Ferro, ha testimoniato di essere stato a numerose feste ed eventi dello chef, ma senza notare droga. E invece sembra che la verità sia ben altra, dal momento che sarebbe andato a prendere la cocaina con l’auto blu della Regione Siciliana, con tanto di lampeggiante acceso. Stridono molto, quindi, le sue parole rese note dopo l’indagine: “escludo in maniera categorica che io mi muova in macchina con lampeggiante acceso. È un errore che ho fatto nella vita di cui sono pentito. Considero molto più importante nella mia vita di essere stato onesto, non avere mai fatto male a nessuno, non avere mai rubato un centesimo. Poi ognuno di noi qualche errore nella vita lo ha fatto. L’importante è essere a posto con la propria coscienza, ed io lo sono”. E si nega al test antidroga.
Invece Miccicchè è nella “neve” fino al collo. Usava anche lui le parole in codice concordate con Di Ferro. Il Fatto Quotidiano riporta una conversazione avvenuta telefonicamente tra Miccicchè (M) e Di Ferro (DF):
DF: “Ma ti stai imbarcando per Palermo?”
M: “Si, Sì, mangio da te? Mangio da te?”
DF: “No, sono chiuso. Sono a Piano Battaglia sulla neve, torno domani” “Ora ti mando una bella foto di dove sono per ora, c’è pieno zeppo di neve”
M: “Ma dov’è pieno zeppo di neve? Anche a casa mia? Hai notizia anche a casa mia? No?”
E ridono.