Potremmo definire gli allevamenti intensivi come un esercizio collettivo dove lo scopo è fondamentalmente il “girare dall’altra parte”, il chiudere un occhio – ma magari anche due, e ancora magari mettere direttamente la testa sottoterra – pur di mantenere linda l’idea che la carne giunga impacchettata nei banchi frigo per magia. Confrontarsi con l’effettiva realtà, tuttavia, è un dovere; un dovere che si compie anche attraverso le immagini – come quelle di recente emerse da alcuni allevamenti che forniscono i supermercati Lidl – e i dati.
Ci è utile, dunque, sfogliare The Pecking Order, un rapporto realizzato da più associazioni animaliste, tra cui Essere Animali, che ha preso in esame l’attenzione delle principali multinazionali del fast food per il benessere dei polli negli allevamenti.
Benessere dei polli in Italia: il confronto con i numeri
Dal 2019 The Pecking Order ha di fatto analizzato l’operato di marchi come McDonald’s, Burger King e Autogrill confrontandolo con le norme dell’’European Chicken Commitment (ECC), sviluppato per adeguarsi alle più recenti ricerche scientifiche e affrontare le sfide più urgenti legate al benessere dei polli. Due i pilastri principali – quello inerente agli impegni e agli obiettivi, che valuta l’esistenza di una politica pubblica sul benessere dei polli e i suoi dettagli e obiettivi (eliminazioni di gabbie, limitazione delle densità e via dicendo) e comunicazione dei progressi, che valuta la qualità di questi ultimi in relazione con gli impegni presi.
La valutazione è infine declinata in termini numerici in modo da creare una sorta di classifica. Nel corso del 2023 sono state valutate 69 aziende in Francia, Germania, Italia, Polonia, Romania e Spagna; con la lente di ingrandimento che, nel caso del mercato italiano, è caduta su Burger King, IKEA, KFC, McDonald’s, Autogrill, Starbucks e Subway.
L’Italia, per farvela breve, è fanalino di cosa insieme a Polonia e Romania. Numeri alla mano, si calcola che tre delle sette multinazionali prese in esame (IKEA, KFC e McDonald’s) hanno registrato una diminuzione significativa del punteggio su base annua; con KFC che in particolare si distingue per una netta regressione nei progressi rispetto all’anno precedente. In altre parole, c’è ampio e limpido menefreghismo quando si parla di benessere dei polli.
Solamente IKEA e Subway, tra i marchi analizzati, hanno pubblicato impegni per eliminare le problematiche principali legate al benessere animale; mentre i restanti cinque non hanno assunto impegni pubblici di alcun tipo. Una macchia nera che si traduce in un lampante ritardo dell’Italia rispetto a Francia, Germania e Spagna: affidandoci ancora una volta all’autorità dei numeri, lo Stivale risulta in ritardo sia per quanto riguarda la pubblicazione di impegni (29%) che per la valutazione complessiva (19%).
La spiacevole sensazione è quella, però, che questi dati siano ben in linea con la posizione del Governo: allargando lo sguardo dai polli e verso altri animali, emergono ombre evidenti come i metodi di abbattimento finanziati dalla Lombardia per combattere la peste suina africana, la torbida comunicazione di Coldiretti e, naturalmente, il secco (e miope) no alla carne coltivata.