Attenzione, le parole hanno un certo peso – “al sicuro” non significa certo “immune”. Ma questo, a dire il vero, dovrebbe essere chiaro a tutti: nel corso degli ultimi mesi, mentre il mondo stava affrontando quella che, per numeri e intensità, si è qualificata come la più grave stagione epidemica di influenza aviaria di sempre, sono stati segnalati diversi casi di contagio negli esseri umani, in particolar modo in coloro che, per lavoro o per hobby, si trovano a stretto contatto con i nostri amici pennuti. Una recente di un gruppo di ricerca dell’Università di Glasgow, tuttavia, ha dimostrato che l’uomo può vantare un gene, una sorta di “saracinesca” se vogliamo, che blocca la maggior parte dei ceppi di influenza aviaria quando questi tentano di entrare nel nostro corpo.
Influenza aviaria nell’uomo: niente pandemia, quindi?
I risultati dello studio, pubblicati sulla rivista scientifica Nature, acquisiscono particolare risonanza soprattutto se allineati ai timori della comunità scientifica degli ultimi mesi che, alla luce dello spillover dell‘influenza aviaria nei mammiferi e dei contagi sempre più massicci, aveva paventato l’ipotesi di una potenziale pandemia. È bene notare che gli scienziati si sono sempre impegnati a ripetere che uno scenario del genere era decisamente remoto – il virus, per farla breve, avrebbe dovuto andare incontro a una lunga e difficile serie di mutazioni -, ma comunque possibile.
La scoperta del gene in questione non “smarca” il genere umano dal rischio pandemia (anche perché l’influenza aviaria è già stata coinvolta in quattro pandemie dal 1918 a oggi, uccidendo milioni di persone, e come accennato il virus è comunque in grado di evolversi per “bypassare” il gene-saracinesca), ma di certo calma ulteriormente le acque.
Ma andiamo con ordine – mentre indagavano gli eventi di spillover, momento chiave nello scenario pandemico, i ricercatori hanno scoperto una sezione del nostro DNA che si attiva in risposta a un’infezione. Si tratta del BTN3A3, un gene che è “diventato attivo” nel naso, nella gola e nei polmoni e in grado di ridurre significativamente la capacità di replicarsi dell’influenza aviaria.
La dott.ssa Rute Maria Pinto, che ha partecipato allo studio, ha affermato che “quasi tutti” i ceppi di influenza aviaria non sono in grado di aggirare tale protezione. “La stragrande maggioranza dei virus umani e di fatto tutti i virus pandemici finora incontrati hanno invece una resistenza a BTN3A3, quindi riescono a superare il suo blocco e a infettare l’uomo” ha spiegato.
Come accennato nelle righe precedenti c’è sempre la possibilità – remota, lo ripetiamo – che il virus in questione riesca a evolversi e superare a sua volta il blocco, ma la scoperta di quest’ultimo permetterà alla comunità scientifica di analizzare i ceppi più pericolosi o soggetti a mutazioni, identificarli e infine affrontarli con maggiore precisione.