L’Unione Europea potrebbe evitare di importare cibo se diminuissero gli allevamenti

Il nodo della sicurezza alimentare passa anche e soprattutto tra l'eccesso di allevamenti e la mancanza di spazio per coltivare vegetali.

L’Unione Europea potrebbe evitare di importare cibo se diminuissero gli allevamenti

C’è chi, leggendo il titolo, potrebbe alzare le sopracciglia. Ma come? Diminuire gli allevamenti porterebbe a una diminuzione dell’import alimentare? A sostenerlo è l’ultimo report preparato dall’Università olandese di Wageningen, il principale istituto di ricerca europea che si occupa di temi connessi all’agricoltura: diamoci un’occhiata.

La questione è piuttosto semplice, in realtà: la lettura dei ricercatori è che gran parte della produzione alimentare globale, allo stato delle cose, non è sostenibile. Una frase, in particolare, ben esemplifica la tesi portata avanti dagli studiosi: “L’Unione europea potrebbe produrre cibo a sufficienza per sfamare la sua intera popolazione, a condizione che venga aumentata la produzione di colture proteiche e semi oleosi”.

Una questione di equilibrio

allevamento

I numeri parlano chiaro: ogni secondo vengono macellati a scopo alimentare 2.400 polli, 47 maiali e 10 mucche. Misurarsi con l’eredità ambientale, ma anche morale ed etica, implicita in questi dati è un obbligo sempre più pressante: l’estensione degli allevamenti intensivi, spiegano gli scienziati, non permette di coltivare abbastanza proteine vegetali. La sicurezza alimentare, in altre parole, è a rischio.

Ultimi in Europa per il benessere dei polli, alla faccia degli allevamenti italiani virtuosi Ultimi in Europa per il benessere dei polli, alla faccia degli allevamenti italiani virtuosi

Vale la pena sottolineare che, come giustamente fa presente il report, il numero di animali allevati sta diminuendo di qualche punto percentuale ogni anno. Si tratta, tuttavia, di gocce distillate da un corpo ancora troppo gonfio: a oggi, di tutte le piante e i vegetali prodotti in Europa per l’industria del cibo, dei mangimi, dei tessuti, del legno, dei biocarburanti e delle bioplastiche, il 60% infatti viene utilizzato per nutrire gli animali allevati a scopo alimentare.

La lettura finale legge più come una sentenza: “È necessario un passaggio a modelli di consumo più sostenibili“. Vi ricordiamo, tra parentesi, che la carne di manzo è di fatto il prodotto alimentare che genera più inquinamento in assoluto; e che l’allevamento è responsabile dell’85% delle emissioni agricole europee. Spostando lo sguardo verso il caso più ristretto del nostro Paese, poi, la storia non cambia: gli allevamenti intensivi causano 50mila morti in Italia l’anno, soprattutto in Pianura Padana.

Allo stesso tempo, è bene notare che i cittadini dell’Unione europea in media mangiano il 40% in più delle proteine di origine animale raccomandate. La pietra dello scandalo, spiega il report, è da ricercare nell’influenza politica del settore agricolo, che avrebbe fatto guadagnare all’industria zootecnica un’esenzione quasi totale dagli obiettivi climatici che l’Unione europea si era prefissata.

Così, mentre l’Europa spiega chiaramente che gli obiettivi sul clima rimarranno irraggiungibili senza serie tasse sulle emissioni agricole e gli allevamenti bovini – i più inquinanti – rimangono esclusi dalle nuove norme sulle emissioni industriali, l’impressione è che si preferisca tenere la testa ben al riparo, sotto la terra: dove occhio non vede e cuore non duole.