Beh, di sicuro ha già cambiato per sempre la canzone Magic del musicista scozzese David Paton. Chiunque viva o sia passato dagli Stati Uniti negli ultimi due anni avrà canticchiato l’inevitabile motivetto del 1974 modificato in O-o-o Ozempic! Di fatto, dunque, la transizione è già in corso almeno a livello culturale. Ma la domanda è: Ozempic, aka il farmaco che fa dimagrire, riuscirà a cambiare le abitudini alimentari degli americani? Soprattutto, qual è la risposta delle aziende specializzate in junk food che a lungo hanno fatto leva su un appetito insaziabile che sembra irrimediabilmente compromesso?
L’effetto Ozempic
Perché l’Ozempic, a differenza dei classici farmaci più meno legittimi (leggi: anfetamine) per dimagrire, non fa passare la fame. Piuttosto, agisce in modo molto più rivoluzionario: cambia il modo di mangiare. Il principio attivo semaglutide (GLP-1) presente in Ozempic e simili come Wegovi e Zepbound, agisce quasi come un ormone. Rallenta la digestione, segnala senso di sazietà e, pare, fa apprezzare maggiormente il sapore “vero” del cibo.
Il GLP-1 infatti sembra agire come regolatore di dopamina, il neuro trasmettitore fra le altre cose responsabile delle dipendenze. I consumatori, monitorati da scienziati e gruppi di ricerca finanziati dalle aziende, segnalano una percezione alterata del desiderio rispetto al cibo, soprattutto quello “spazzatura”. Per molti infatti il sapore di caramelle, merendine e snack tanto amati risultano improvvisamente insopportabili. Troppo dolci, troppo salati, addirittura “di plastica”. E le aziende, che per decenni hanno fatto leva proprio su questi gusti che attivano il cervello e creano dipendenza, si preoccupano.
La risposta dell’industria
Il cambiamento delle abitudini alimentari potrebbe essere di proporzioni gigantesche. Le stime per il 2035 sono di 24 milioni di utenti, il doppio dei vegetariani e vegani oggi negli Stati Uniti. Una prospettiva che non sorprende, visti i numeri vertiginosi di obesità e sovrappeso che flagellano la nazione. E dunque come fa l’industria, che in parte è responsabile di queste problematiche sistemiche, a tutelarsi in vista di un futuro pieno zeppo di salutisti?
C’è da dire che Big Foods non è nuova ai cambiamenti. Ci è già passata con la rivoluzione Weight Watchers degli anni Novanta e delle ossessioni zero calorie/zero zuccheri dei primi Duemila. E ne è sempre uscita trionfante. Ad esempio, spostando l’attenzione sull’assenza di grassi, o ancora pompando i claim di vitamine e proteine. Fra tick sensoriali (più le chips scrocchiano, più vendono) e chimici (intensità dei dolcificanti e struttura dei grani di sale), non mancano i modi per farci mangiare sempre, e di più.
L’attrattiva principale resta sempre il prezzo. I cibi industriali ultra processati costano di meno, e a farne le spese è la salute. C’è un motivo se obesità e malattie croniche sono imperanti fra le fasce più povere della popolazione (checché ne dica il ministro Lollobrigida). Occorre trovare in fretta alternative altrettanto economiche e altrettanto appetibili. Per questo i team di food innovation delle più grandi aziende (McDonald’s, PepsiCo, Hostess) si stanno letteralmente chiudendo in laboratorio per trovare la formula Ozempic snack.
Fra le proposte studiate finora: chicken stick al posto del classico fritto di mozzarella; tacos di pollo senza carboidrati; shake proteici al dolcificante; caramelle gommose “sazianti”. La fase della ricerca per fare fronte allo tsunami Ozempic è ufficialmente iniziata, seppur a livello embrionale. I risultati per ora sono decisamente poco convincenti, ma cosa succede se la spuntano? C’è il rischio che Big Food possa contrattaccare l’azione del GLP-1 rendendola nulla? Il futuro è incerto, ma di sicuro nessuno sta a guardare. La prossima grande battaglia, garantito, sarà fra gli scaffali del supermercato.