C’è chi dice che non ci sia peggior cieco di chi non voglia vedere. D’altronde, per carità, riconosciamo che nel “non vedere” ci sia anche una certa convenienza: quella che permette di convincersi che quando si parla di allevamenti “sostenibilità” e “benessere animale” siano leggi e non belle parole piene di vento, ad esempio. Francesco Lollobrigida, ministro dell’Agricoltura, delle Foreste e della Sovranità Alimentare ha appreso solo grazie alla messa in onda di Report dell’esistenza di Food For Profit, amaro e necessario documentario di Giulia Innocenzi e Pablo D’Ambrosi proiettato, tra le altre cose, anche e soprattutto al Parlamento Europeo.
Badate bene, la nostra non è una congettura: ad ammetterlo è lo stesso Lollobrigida, candidamente, con il fare bonario di chi cade dal proverbiale pero, con un post pubblicato sui canali social. La lettura del ministro dell’Agricoltura e tuttecose è che il lavoro di Innocenzi e D’Ambrosi sia teso alla “criminalizzazione generalizzata dei nostri allevatori“, arrivando a chiedersi “se sia utile sulla Tv di Stato che le nostre produzioni agricole siano fatte passare continuamente come frutto di pratiche nocive”.
Lollobrigida, la pugnalata di Bruto e la sensazione di déjà vu
Un intervento, quello di Lollobrigida, che echeggia di quell'”abbiamo il nemico in casa” pronunciato in occasione del primo servizio di Report sul mondo del vino e che veicolò l’idea che parlare dei “nostri” prodotti – “nostri” tra virgolette obbligatorie, sì: che d’altro canto fino a prova contraria si tratta di prodotti di aziende private – in termini che potremmo definire critici sia, per usare un eufemismo, inopportuno.
La tesi impugnata dal ministro Lollobrigida è quella ormai abbondantemente collaudata e sempre puntuale delle poche mele marce: “La stragrande maggioranza dei nostri allevatori segue le regole stabilite dalle leggi. Certamente tra migliaia di loro ci sono alcuni disonesti che compiono azioni criminali e vanno perseguiti con tutta la rigidità possibile. A causa di questi pochi, peraltro, un intero settore viene stigmatizzato con il rischio di farne precipitare la competitività con la conseguente perdita di migliaia di posti di lavoro”.
Altrettanto puntuale è la risposta di Giulia Innocenzi, che apre il proprio intervento con una domanda più o meno pruriginosa – “Davvero il ministro Lollobrigida non sapeva niente di Food for Profit fino alla messa in onda di Report?” – e lo arricchisce di una serie di risposte agli interrogativi sollevati dallo stesso Lollo. “Come spesso accade davanti a inchieste come la nostra gli allevamenti vengono difesi dicendo che sono casi isolati”, spiega Innocenzi. “Come diciamo sempre quello che mostriamo in Food for Profit non sono casi isolati, anche perché noi abbiamo dato delle camerine nascoste agli investigatori che hanno filmato giorno per giorno quello che succede negli allevamenti. La violenza è insita in questi luoghi anche perché tali pratiche crudeli sono proprio ammesse per legge”.
Vale poi la pena notare che Food for Profit non è certo il primo documentario a illustrare con immagini riprese all’interno degli stessi stabilimenti la brutale violenza, puntualmente declinata nella più arida logica del profitto, che costituisce la prima legge degli allevamenti intensivi: pescando solamente nella cronaca più recente troviamo almeno altri due esempi, uno proveniente da un allevamento di polli di Verona e un secondo in altri impianti che forniscono i supermercati Lidl. Sostenere la tesi delle poche mele marce, alla luce di una tale mole di evidenza, trascende la semplice ingenuità a un caustico sospetto di piena malafede.
La sorpresa non sorpresa della messa in onda
Ma torniamo a noi: “Diciamo al ministro che anziché puntare il dito contro i giornalisti che “criminalizzano” il settore” prosegue Innocenzi “sarebbe bene adottare uno spirito critico nei confronti di questi allevamenti che lui rappresenta in prima persona”. Sorprendente, infine, apprendere che il ministero “abbia saputo solo con la messa in onda di Report del nostro documentario, anche perché abbiamo fatto proiezione al Parlamento europeo, al Parlamento italiano, in vari consigli regionali”. Caspita, qui quasi la toppa è peggio del buco.
È allo stesso tempo necessario notare che Food for Profit, come sottolinea giustamente Innocenzi, è un documentario che tratta “temi di cui si occupa il suo ministero” e che “è rimasto nella Top 10 dei film più visti nei cinema italiani per settimane”. La caduta dal pero, inquadrata in questa impalcatura contestuale, pare più uno scivolone su una buccia di banana: ma meglio tardi che mai, no?