Anche la più brillante delle vernici verdi finisce per venire via. Potremmo riassumere il complesso fenomeno del greenwashing come la comunione tra una rassicurazione e una pugnalata alla schiena: si tratta di una pratica maliziosa e (ahinoi) ampiamente diffusa in campo alimentare, con numerose aziende che nascondono dietro una mano di vernice verde fiammante e campagne comunicative piene di belle parole piene di vento come “sostenibilità” i propri sporchi – è proprio il caso di dirlo – affari.
La causa di recente intentata dallo Stato di New York a JBS, il più grande produttore di carne al mondo, potrebbe di fatto rappresentare un netto punto di svolta nella lotta al greenwashing. Le autorità governative newyorkesi, stando a quanto lasciato trapelare, avrebbero accusato l’azienda in questione di avere ingannato i propri clienti millantando un falso impegno in ambito climatico.
Dalla carne alla lotta al greenwashing: il caso New York – JBS
Nulla di nuovo sul fronte occidentale, diranno i nostri lettori più attenti (o forse più cinici?). Come accennato in apertura di articolo sono numerose le aziende denunciate per greenwashing, da Coca Cola e Nestlé fino a McDonald’s, al punto che c’è chi potrebbe essersi rassegnato a definire la pratica in questione come scontata. La causa mossa da Letitia James, procuratore generale di New York, ai danni di JBS potrebbe però avere implicazioni di vasta portata.
“Il gruppo JBS ha fatto ampie dichiarazioni ai consumatori riguardo al suo impegno nel ridurre le emissioni di gas serra, sostenendo che saranno Net Zero entro il 2040″ si legge nei documenti legali. Tali affermazioni, sostiene l’accusa, sono false – un po’ perché, stando a quanto riportato dal The Guardian, JBS non sta effettivamente compiendo alcuna azione per avvicinarsi a tali obiettivi; e un po’ perché, solamente nel settembre del 2023, l’amministratore delegato dell’azienda ha pubblicamente ammesso che la società stessa non aveva idea di come calcolare tutte le sue emissioni. Che scivolone.
“I consumatori stanno cominciando a essere consapevoli del fatto che la carne, e in particolare la carne bovina, ha un impatto climatico molto, molto elevato” ha spiegato Peter Lehner, procuratore generale del programma di alimentazione e agricoltura sostenibile di Earthjustice. Lehner non si sbaglia: uno studio recente ha individuato – manco ci fosse bisogno di ribadirlo – proprio la carne di manzo come il prodotto alimentare più inquinante in assoluto.
“JBS ne è pienamente consapevole” ha continuato Lehner “e sta cercando di anticipare la situazione dicendo ai consumatori: “Oh, non preoccupatevi, abbiamo tutto sotto controllo””. Immaginiamo che, quando il titolo che accompagna il proprio nome è quello del “più grande produttore di carne del mondo”, cominci a diventare difficile nascondersi dietro uno strato di vernice verde.
Al netto di ogni scrupolo ambientale vale la pena ricordare che la causa intentata dallo Stato di New York rimane in primis un caso di frode nei confronti dei consumatori; ma è altrettanto importante notare che l’impalcatura contestuale dell’accusa non può fare altro che ergersi su quel castello di carte che è il greenwashing.
Le probabilità di una vittoria della causa, secondo Lehner, sono buone. “Le prove in questo caso sono almeno altrettanto forti, se non molto più forti, delle prove e di molti altri casi di frode dei consumatori che hanno avuto successo”, ha spiegato. La speranza è che possa innescare un effetto a valanga e aprire a più attente indagini e più serie conseguenze nella lotta al greenwashing.