Chiamatelo method acting, se vi va, ossia quell’allenamento che porta gli attori a perdersi nei propri ruoli; o diversamente comune buon senso, che d’altro canto quando si interpreta uno chef è una buona idea imparare a maneggiare gli strumenti del mestiere. Il Noma di Copenaghen ha ospitato il cast di The Bear: è la coronazione di una lunga serie di citazioni o una gita didattica?
Concedeteci il dubbio, ma non sentitevi in obbligo a darci una risposta. Con la terza stagione ormai alle porte – ed eppure già invischiata nelle più disparate speculazioni: sapevate che ci attende un altro funerale? -, i personaggi della serie televisiva hanno visitato la creatura di Redzepi per godersi una sessione di foraggiamento, imparare a tagliare il calamaro e chissà che altro.
The Bear e il legame con il Noma
Tre stelle Michelin, un lungo periodo passato sul tetto del mondo: il Noma di Copenaghen – e con lui René Redzepi, probabilmente – ha ormai da tempo bucato la bolla del gastrofighettismo per confermarsi saldamente come elemento della più ampia cultura pop.
Non sorprende, dunque, trovare una gran quantità citazioni e rimandi (i proverbiali easter egg, come direbbero i nostri lettori più nerdacchioni) al suo mito in The Bear, che di fatto racconta dei tormentati tentativi di chef Carmy – interpretato da Jeremy Allen White – per mantenere a galla il suo ristorante di Chicago, sempre minacciato dai moti imprevisti e violentissimi che tormentano il mondo della ristorazione. Quel che è interessante, più del loro numero, è il modo in cui sono declinati.
Al di là della patina di mito appena citata, è bene notare che potremmo intendere il Noma anche e soprattutto per la sua natura “a doppio taglio“, per così dire: da una parte i premi, i riconoscimenti e le stelle; dall’altra una trasformazione che ha il sapore della parola “fine” e numerose testimonianze che raccontano trattamenti severi e di stipendi nulli.
I temi toccati da The Bear riflettono in maniera più che eloquente questo dualismo: c’è un amore di fondo per la ristorazione e ciò che rappresenta, è chiaro; ma c’è anche un commento più sottile su quanto accade veramente in cucina: i trionfi, gli abusi, la creatività, il classismo e il culto dell’eroe. I riferimenti al Noma, apparenti o meno, non fanno che enfatizzare tutto questo.
Un esempio su tutti? Nella seconda stagione Marcus, il pasticciere interpretato da Lionel Boyce, si trasferisce proprio a Copenaghen presso un ristorante senza nome che, pur senza mai citarlo direttamente, ci ricorda il Noma. Qui, in questa mecca gastronomica, si respira l’aria liturgica del culto (della personalità, sì, ma non solo), dove manipolare il cibo con le pinzette è una forma d’arte e i non-iniziati (leggete: coloro che ancora non l’hanno padroneggiata) sono sistematicamente derisi.
Gli indizi, se così vogliamo definirli, non si fermano qui: a un certo punto Marcus si trova a visitare un orto che non può che ricordarci quello centrale nella stagione vegetale del Noma. La visita al tempio di Redzepi, in definitiva, era nell’aria: un po’ per toccare con mano – letteralmente! – i ferri del mestiere in un contesto professionale, e un po’ per immergersi del tutto nei temi della serie.