Non solo Europa – se è pur vero che l‘influenza aviaria è tornata a imperversare per il Vecchio Continente, è bene notare che la portata della stagione epidemica sta coinvolgendo anche gli angoli più remoti del mondo. Risale appena allo scorso autunno, ad esempio, la notizia che il morbo in questione è stato individuato per la prima volta anche tra gli uccelli marini dell’Antartide – una rilevazione che è stata accolta con considerevole ansia dalla comunità scientifica, che temeva una rapida e spietata proliferazione del contagio nelle fitte ma vulnerabili colonie locali di uccelli e mammiferi.
A un paio di mesi, l‘influenza aviaria ha ucciso per la prima volta nella storia un orso polare. La conferma arriva direttamente dal Dipartimento di Conservazione Ambientale dell’Alaska: la carcassa dell’animale è stata trovata nei pressi di Utqiagvik, una delle comunità più settentrionali dell’Alaska.
Come ha fatto a infettarsi?
Una domanda legittima – la lettura proposta dagli scienziati che hanno preso in esame il caso è che l’orso stesse rovistando tra le carcasse di uccelli già morti per infezione da influenza aviaria. I ricercatori hanno naturalmente sottolineato come sia perfettamente possibile che, in passato (remoto o prossimo), siano già morti altri orsi polari a causa dell’aviaria: quello in questione, però, è il primo mai registrato nella storia.
I nostri lettori più attenti sanno bene che non si tratta affatto del primo contagio di un mammifero, né – con ogni probabilità – dell’ultimo. Ricordiamo i casi segnalati più o meno recentemente in volpi e visoni nel contesto europeo, alle centinaia di leoni marini morti in Perù e ancora ai gatti e ai cani in quel di Brescia: a rendere particolarmente preoccupante il caso dell’orso polare, tuttavia, è che questo particolare animale è già elencato come “vulnerabile” nella lista rossa delle specie a rischio di estinzione dell’Unione internazionale per la conservazione della natura (IUCN).
La causa principale dietro il rischio d’estinzione è la perdita di ghiaccio marino: il timore della comunità scientifica è che l’influenza aviaria, se dovesse continuare a espandersi, possa ridurre ulteriormente i numeri della popolazione di orsi polari. “Ci sono stati casi in Antartide, e ora nell’alto Artico tra i mammiferi. Tutto questo è terrificante” ha commentato Diana Bell, professoressa emerita di biologia della conservazione presso l’Università dell’East Anglia, intervistata dal The Guardian.
“Eppure non sono per niente sorpresa. Negli ultimi due anni la lista di mammiferi uccisi è enorme” ha continuato. “Quando colpisce una specie grande e carismatica come l’orso polare, le persone improvvisamente si siedono e ascoltano – o almeno spero che lo facciano. Abbiamo già una pandemia nella biodiversità, e si chiama H5N1″.