L’industria della pesca – o comunque una buona parte di essa, come vedremo tra poco – ha intenzione di introdurre un fermo alle operazioni di estrazione mineraria dal fondale marino. Il motivo è presto detto: uno studio di recente pubblicato sulla rivista scientifica Nature ha mostrato che i cambiamenti climatici hanno determinato una crescente sovrapposizione tra le zone di pesca del tonno tropicale e i piani di estrazione marina dell’industria mineraria. Un bel pasticcio, insomma. A guidare la carica sono in particolare i gruppi ittici della Global Tuna Alliance, che rappresentano il 32% delle vendite mondiali di tonno; e i fornitori di diverse catene di supermercati tra cui Sainsbury’s, Waitrose, Asda, Marks & Spencer e Aldi.
Estrazione mineraria in acque profonde: l’opposizione dell’industria della pesca
È bene notare che la GTA non è affatto sola nei suoi sforzi di opposizione – il The Guardian parla di un fronte ricco di 45 aziende ittiche britanniche e numerosi Stati determinato a fermare l’estrazione mineraria in acque profonde -; e che il suo appello giunge in un momento particolarmente cruciale: proprio durante la settimana in corso, infatti, l’Autorità internazionale dei fondali marini (ISA) si riunirà per determinare le regole dell’estrazione mineraria o, diversamente, per mettere in pausa i piani operativi. Sono giorni caldi, in altre parole – e stavolta non ci riferiamo solo alla temperatura.
A preoccupare l’industria della pesca, come accennato in apertura, è la “significativa sovrapposizione” tra le future zone di cattura e le aree autorizzate per l’estrazione mineraria: lo studio sopracitato suggerisce che, a causa delle alterazioni determinate dal cambiamento climatico nelle abitudini delle specie marine, alcune delle attività di pesca più preziose al mondo andranno a intralciare sempre più le operazioni minerarie in acque profonde.
Lo studio ha esaminato la futura biomassa del tonno tropicale in due scenari di crisi climatica: emissioni moderate e alte. Si prevede che la biomassa totale per le specie che popolano la Clarion-Clipperton Zone (CCZ), un’area dell’Oceano Pacifico a sud-est delle Hawaii già “sotto contratto” con l’industria mineraria, aumenterà dal 10 al 31 per cento (in base alle singole specie) entro la metà del ventunesimo secolo – il che potrebbe favorire accesi contrasti con le attività di pesca, che tenteranno di assicurarsi i tonni più grandi e le catture più redditizie.
Le popolazioni di tonno nella CCZ potrebbero essere influenzate dall’estrazione mineraria in acque profonde in modi diversi, hanno affermato i ricercatori, sebbene l’effetto di ciascuno di essi debba ancora essere calcolato. La generazione di pennacchi di sedimenti, che trasportati dalla corrente potrebbero anche percorrere lunghe distanze, andrebbe a impedire l’alimentazione o la comunicazione visiva; i metalli potenzialmente tossici potrebbero essere assorbiti dalle specie; e l’inquinamento acustico e luminoso potrebbe disturbare il comportamento, causare stress e forzare cambiamenti nelle rotte migratorie.