Suona come una minaccia, ma è una minaccia di quelle buone, ricche di godimenti, salse, carboidrati e colesterolo.
Te la do io l’America è il nuovo libro di Joe Bastianich (Rizzoli, 208 pag. 18 €), che dopo la parentesi ironica-autobiografica di Giuseppino torna alle ricette degli stravizi gastronomici americani.
E non si risparmia, sappiatelo: 50 ricette una più “porca” dell’altra (nel senso non carnale, ma carnivoro del termine), che non smentiscono l’attitudine a stelle e strisce di trasformare anche un piatto potenzialmente sano in una bomba calorica.
Giuseppino nostro, è palpabile pagina dopo pagina, si trova bene con ingredienti ‘mmericani e ricette da superpotenza mondiale all’apice della Guerra Fredda.
Quelle, per intenderci, che aggiungono e stratificano, quelle che non sacrificano nulla sull’altare della semplicità, ma che anzi somigliano a una lista della spesa e mettono insieme 22 cibi apparentemente sconnessi.
Dimenticatevi le fighetterie in salsa newyorkese, il cibo etnico, i bagel integrali e le salse veg: qui si torna al primordiale, alle questioni dure e pure, alle ricette dell’America americana per davvero, quella obesa per dirla un po’ politicamente scorretto.
La cucina americana (quella del libro di Bastianich, ma qui la questione si allarga) è quella del shopping mall, del consumismo anni ’80, di Ralph Supermaxieroe: in una parola è il suicidio del corpo e l’elevazione dello spirito gagliardo del repubblicano medio.
Me lo vedo con la sua cofana color risotto alla milanese Donald Trump alle prese con un Juicy Lucy (una variazione hard sul tema del cheeseburger), mentre si sbrodola come un boscaiolo del Wyoming.
Maschia, strafottente, esagerata, a tratti volgare: la cucina americana vera non ha nulla della nostra interpretazione edulcorata dell’hamburger con Castelmagno e crema di nocciole piemontesi. Questa versione somiglia più alla democratica e un po’ noiosa ricettina perfettina di Michelle Obama che coglie i suoi broccoli dall’orto della Casa Bianca.
Ammesso e non concesso che l’hot dog non abbia già conquistato il mondo (l’ho trovato anche nell’archetipo dei “peggiori bar di Caracas”), di certo l’hamburger ha colonizzato anche chi si è, per DNA, sempre professato gastronomicamente superiore: l’italiano.
Inutile negarlo: dopo che per un tempo immemore sono stati gli spaghetti a dettare le regole, da qualche anno non si contano più le hamburgerie in salsa nostrana.
Pochissime però sono delle hamburgerie in vero stile americano. In nessuna di queste, nonostante scimmiottamenti, scritte “open” al neon e lavagnette alla Coney Island, ci ho mangiato un hamburger all’americana da bypass coronarico.
Siamo stati invasi da panini democratici.
Ora è tempo della resa finale: voglio, desidero, pretendo un fucking hamburger repubblicano.
Non giudicatemi: almeno in cucina fatemi votare Donald Trump!
[Crediti | Link: Rizzoli, Dissapore | Foto: Recipeshub]