Badate bene: in redazione non abbiamo sfere di cristallo né redattori che rispondono al nome di Nostradamus. Quello che possiamo fare, al meglio delle nostre capacità, è il banale due più due, il mettere i puntini sulle i, il raccogliere e poi organizzare dati e notizie per restituire un quadro che sia il più coerente possibile. A noi, dunque: i ministri Ue hanno aperto in maniera ufficiale ai dazi maggiorati sulle importazioni di prodotti agricoli – grano ovviamente compreso – dalla Russia e dalla Bielorussia, con introduzione prevista per il primo di luglio. La domanda è chiara: il prezzo della pasta aumenterà ancora?
Piccola retromarcia, che come accennato c’è che qualche pezzettino che occorre mettere insieme prima di procedere. Partiamo dal presupposto che, nei dodici pacchetti di sanzioni varati dalle autorità europee nei confronti della Russia in seguito all’invasione dell’Ucraina, le derrate agricole erano state originariamente escluse. L’idea, l’avrete intuito, era quella di evitare nuove impennate ai prezzi dei cereali, già infiammati a causa del blocco ai porti ucraini sul Mar Nero e dalla congiuntura climatica avversa.
Dazi maggiorati per il grano russo: che significa per l’Italia?
Poi l’inversione a U: siamo verso la fine di marzo 2024, a poco più di due anni dall’inizio delle ostilità; e l’Europa prende a ventilare la possibilità di introdurre per la prima volta i dazi sul grano russo. Ora la notizia del semaforo verde, annunciata dallo stesso commissario europeo per il Commercio, Valdis Dombrovskis: l’obiettivo della misura è di – e qui citiamo le stesse parole di Dombrovskis – “impedire che il grano russo destabilizzi il settore agricolo europeo, limitare le entrate della Russia per finanziare la sua guerra contro l’Ucraina e contrastare le esportazioni illegali russe di grano rubato dall’Ucraina nei mercati dell’Ue”.
I numeri sono quelli già ventilati lo scorso marzo: dazi di 95 euro per tonnellata o con un importo progressivo a salire fino al 50% del valore di cereali, semi oleosi e prodotti derivati come il grano duro, il mais e la farina di girasole: una spallata forte, che stringe il cappio doganale “fino a un punto tale da bloccare le importazioni” ma che, di fatto, non andrà a incidere sul transito dei cereali russi e bielorussi verso i Paesi terzi, a tutela della promozione della sicurezza alimentare a livello globale.
Le stime delle autorità europee indicano che i dazi porteranno a un taglio delle importazioni di cereali dai Paesi in questione di circa 5 milioni di tonnellate l’anno, con la carenza di offerta così innescata che “sarà parzialmente colmata dalla produzione interna dell’Ue, a beneficio degli agricoltori europei” o dagli stessi Paesi terzi che tradizionalmente riforniscono il mercato dei Ventisette, come Stati Uniti, Brasile, Ucraina, Serbia o Argentina.
Bene, ma per l‘Italia che significa? Dati alla mano è importante notare che il flusso di grano proveniente da Mosca è di fatto pari ad appena l’1% del consumo europeo complessivo; ma allo stesso tempo, nel corso di appena un anno, le importazioni russe verso il nostro caro e vecchio Stivale sono di fatto decuplicate. L’Italia, in altre parole, ha consapevolmente trasformato la Russia nel suo primo fornitore di grano: un aumento dei prezzi, alla luce di questo e dei dazi di cui abbiamo discusso nelle righe precedenti, sembra dunque inevitabile.