Dall’altra parte dell’Oceano Atlantico quello della carne coltivata è uno dei temi più caldi del momento. Appena una manciata di giorni fa, infatti, due aziende – Upside Foods e Good Meat – hanno di fatto ricevuto il semaforo verde da parte delle autorità sanitarie e alimentari a stelle e strisce per fare debuttare il proprio prodotto nel mercato statunitense – un passo in avanti che pone gli Stati Uniti in una posizione di avanguardia in questo particolare settore, in compagnia di altri Paesi come Israele e Singapore, con quest’ultimo che può vantarsi del titolo di pioniere assoluto. Anche da queste parti non mancano, come d’altronde è giusto che sia, i cori di dissenso: tra tutti coloro che hanno deciso di sollevarsi, spicca soprattutto la voce di LeBron James.
LeBron James ha bocciato la carne coltivata
Diciamocelo chiaramente – LeBron James è uno dei quegli atleti che ha abbondantemente bucato la bolla di risonanza della propria disciplina sportiva approdando nella cultura di massa. In altre parole, non è necessario essere appassionati di basket per sapere che è uno dei giocatori più leggendari di sempre: la star dei Los Angeles Lakers ha il peso specifico mediatico tipico delle celebrità, e pertanto non ha esitato a lanciarsi in avventure imprenditoriali – collezionando anche successi notevoli – o a pronunciarsi in questioni sociali e non di varia natura. Di recente, come accennato, ha fatto sapere la sua per quanto concerne le carne coltivata.
La reazione della leggenda del basket è tanto concisa quanto chiara: una semplice storia pubblicata sul suo profilo Instagram, per di più ormai già scomparsa, in cui appare la notizia che abbiamo citato in apertura di articolo – l’approvazione da parte degli enti competenti degli Stati Uniti della carne coltivata di Upside Foods e Good Meat, tanto per intenderci – arricchita da un commento: “Man HELL NAH!!!”.
Difficile capire di che natura sia l’opposizione di LeBron James – tendenzialmente i detrattori della carne coltivata nutrono dubbi sulla sua sicurezza al consumo, sulla qualità effettiva del prodotto, sul costo (ma cinicamente ci permettiamo di pensare che questo non sia il caso, almeno per LeBron) o sull’aspetto etico. Quest’ultimo in particolare è stato ampiamente calcato anche dall’opposizione che, nel nostro Paese, ha finito per vietare in toto la strada della produzione: “carne Frankestein”, “carne finta” e la più gettonata “carne sintetica”, che suggerisce come il prodotto in questione sia artefatto e malevolo.
Quel che è certo è che siamo agli inizi: la carne coltivata, a prescindere dal rumore che la circonda, è una produzione eccezionalmente giovane con un ampio bagaglio di problemi – il costo in primis, come accennato. Chiudersi a riccio, demonizzarla e vietarne ricerca e produzione, tuttavia, continua a sembrarci la più miope delle reazioni.