C’è chi ha già intuito dove vogliamo andare a parare e chi, evidentemente, ha passato gli ultimi mesi standosene comodo sotto una roccia. Un messaggio per questi ultimi: un po’ vi invidiamo. I dati di Beer Marketer’s Insights parlano chiaro: le vendite di birra nella terra a stelle e strisce dovrebbero collare al livello più basso dal 1999; con i primi nove mesi dell’anno che hanno fatto registrare una diminuzione complessiva di oltre il 5%.
Il grande indiziato, a cui abbiamo accennato in apertura di articolo, è naturalmente il Bud Light Gate, il caso generato da una sfortunata (per usare un eufemismo) campagna marketing avviata in collaborazione con l’attivista transgender Dylan Mulvaney. Campagna che ha innescato un boicottaggio su larga scala e che, duole dirlo, ha reso evidente a tutti la grossolana miopia di un reparto comunicazione che ha fallito miseramente nell’interpretare il proprio target medio.
Il peso del caso Bud Light sulle vendite di birra
La risonanza del caso Bud Light, dicevamo, non è assolutamente da sottovalutare. Parliamo, d’altro canto, di un marchio che abbiamo imparato ad affiancare (nel bene e nel male) con l’americano medio, e che ha infine perso lo storico scranno di birra più apprezzata dagli statunitensi fino a precipitare a un disastroso quattordicesimo posto.
Il boicottaggio a cui abbiamo accennato in apertura di articolo ha poi portato a una lunga serie di conseguenze che, in ordine sparso, comprendono un crollo in borsa, la nascita di competitor agguerritissimi, interi lotti invenduti o ignorati (persino quando tali lotti erano offerti gratis) e l’avanzare dell’ombra di decapitazioni di alto profilo. Stando a quanto riportato dal New York Post, le vendite di Bud Light sono diminuite costantemente ogni mese dal 25% al 30% a partire dall’ormai famigerato post di Mulvaney.
Una tendenza che si è trasmessa pressoché imperterrita fino ai giorni nostri: considerando le quattro settimane terminate il nove di dicembre, ad esempio, si è registrata una diminuzione delle vendite di Bud Light del 28% su base annua,
Così, mentre altri marchi di birra hanno occupato parte dell’importante vuoto lasciato da Bud Light, la loro crescita non è stata sufficiente a compensare i cali nettissimi di casa Anheuser-Busch (complice, naturalmente, anche e soprattutto l’allontanamento sempre più marcato degli adolescenti americani dai consumi di alcol).
Il mondo della birra a stelle e strisce, nel frattempo, è diviso: c’è chi, come Craig Purser, presidente della National Beer Wholesalers Association, sostiene che si tratti di “un incendio che sta coinvolgendo l’intero settore”; e chi, come un portavoce di Molson Coors intervistato dal NY Post, è dell’idea che non si tratti d’un problema della birra, ma di “un problema per Bud Light”.