Non saprei esattamente individuare il momento preciso, ma in tempi recenti la pizza ha smesso di essere una cosa da mangiare ed è diventata una religione.
Anzi: tante religioni.
Sarà che siamo orfani delle fedi tradizionali e in qualcosa si deve pur credere: il Santo Impasto, il Sacro Cornicione, Sorella Lievitazione hanno preso il posto degli arcangeli. Basta San Giovanni, avanti San Marzano. Basta Santa Madre, viva Santo Lievito Madre.
Dunque la pizza è la nuova religione, la pizzeria la nuova chiesa e il pizzaiolo il nuovo sacerdote. E fin qua, ci può anche stare. Non saran più perniciosi i pizzofili degli ultraortodossi.
Il problema, però, è che son tempi veloci e tutto precipita in un amen: così le scissioni, le lotte intestine, i fratricidi che nelle chiese si son consumate nei millenni e nei partiti nei secoli (il record è attualmente detenuto dal PD), negli adepti della pizza sono precipitati in pochi mesi, accelerati dai social.
Sul web ormai non puoi fare un’affermazione che riguardi la pizza che non scateni un finimondo. Anche postando una constatazione apparentemente innocua troverai istantaneamente una schiera di persone che ti spiegheranno perché, quale che sia, è un sacrilegio.
Non oso provare, ma sono convinto che su Facebook scatenerebbe più ire la foto di una pizza schifosissima che uno slogan fascista.
La cosa che tuttavia mi rincuora assai è che se esci dalla rete e torni nel mondo reale, il fenomeno quasi scompare: le pizzerie son piene di ragazzi, di famiglie, di amici, di compagni di classe che mangiano ognuno quel che gli pare senza rompersi reciprocamente le balle.
Se guardi queste tavolate, d’un tratto, ti ricordi che cos’è, che cosa è sempre stata la meraviglia della pizza: non solo è una cosa buona, ma è un piatto che fa stare la gente assieme.
Scannarsi in nome della pizza tradisce la sua stessa natura.
La pizza è allegria, felicità e comunità, perbacco.