Come i più attenti sapranno, Oscar Farinetti ha pubblicato la settimana scorsa una raccolta di poesie. Si chiama “Quasi”, la edita un editore importante, La Nave di Teseo –sulla cui tolda svetta Elisabetta Sgarbi, tra le più celebri editor del paese e sorella del più celebre polemista del paese– e ha pure i dipinti di Marco Nereo Rotelli e un commento del filosofo Massimo Donà.
Le poesie si sono da subito prestate alla pubblica lapidazione: dal sarcasmo più perfido agli insulti più espliciti. L’articolo che più ha viaggiato, per dire, è quello che Davide Brullo ha pubblicato su Linkiesta intitolato, garbatamente, “Oscar Farinetti orina sull’aiuola della poesia italiana.”
Io di queste poesie ho letto solo le quattro presenti sull’anteprima di Amazon: non me ne intendo per nulla, ma posso immaginare che non siano capolavori immortali. Del resto i capolavori immortali sono piuttosto rari.
Quello che però mi chiedo è “ma chi gliel’ha fatto fare?”
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Che la raccolta di un imprenditore potesse essere accolta con fastidio da molti lettori e critici era piuttosto prevedibile. Dunque, Oscar, perché buttarsi a capofitto contro gli spernacchi del web?
In 999 casi su 1000 il miglior modo in cui un imprenditore può far del bene alle arti è dedicarsi al mecenatismo, cosa che Farinetti fa con costanza. Va bene così. Questo è regalare cose belle al mondo: sostenere i poeti quelli veri, da sempre più a proprio agio con l’invisibile che con la redditività.
Io capisco l’entusiasmo che immagino genuino di un uomo danaroso che vuole esprimere il proprio pensiero e visto che può farlo pensa “perché no”; capisco anche la legittima dose di narcisismo e il desiderio di un uomo d’impresa che vuole accreditarsi anche nel mondo della cultura.
Sono pieni i secoli di vicende del genere. Miliardari che dipingevano quadri orrendi, nobildonne che stonavano credendosi la Callas.
Ma Farinetti mi sembra troppo intelligente per cascare nel cliché del ricco che tormenta gli amici declamando versi a fine pasto, con la corte che non si ribella per paura di non venir più invitata.
Stanno zitti e applaudono ma, appena andati via, commentano “mamma mia, che palle.”