Parallelamente al racconto sportivo, che com’è giusto che sia si è preso la scena, la cronaca delle Olimpiadi di Parigi è anche e soprattutto stata accompagnata dal racconto gastronomico. Racconto pruriginoso e irto di polemiche, badate bene, costellato dalle proteste avanzate dagli stessi atleti e da decisioni grossolanamente contraddittorie. Una su tutte, la decisione di servire foie gras nonostante la fanfara retorica che presentava il menu olimpionico come sostenibile e con forte impronta vegetale.
C’è (stata) una lista di cibi vietati, e questo non è certo un segreto. Niente avocado, tanto per cominciare, proprio nel nome della sostenibilità di cui sopra. Poi niente patatine fritte, bollate come “troppo rischiose“; e niente nugget di pollo, che c’è sempre spazio per il tiro mancino agli inglesi. Poi il foie gras: vietato per gli atleti, ma permesso ai vip. D’altronde tutti sanno che le anatre sono contente di farsi ingozzare, se è per le celebrità di questo mondo.
Le proteste e l’orecchio sordo
Parlavamo di contraddizione, dunque, che come accennato diventa quel tanto più lacerante se consideriamo la massiccia campagna comunicativa atta a esaltare la virtuosità del menu olimpionico. L’inclusione del foie gras non è passata inosservata: l’associazione britannica Animal Equality e altre ONG hanno dato corpo a un fronte di 60 mila persone unito sotto l’obiettivo di eliminare il foie gras dai Giochi di Parigi.
La protesta ha addirittura raccolto il favore di alcuni atleti olimpici, ma il suo eco si è di fatto perso su di orecchie sorde. Vale la pena notare che Animal Equality, nello sforzo di organizzare la propria campagna, ha documentato le condizioni disumane a cui sono sottoposti gli animali durante la produzione di foie gras evidenziandone i già noti danni fisici e malessere psichico inferto.
Le Olimpiadi si sono concluse già da qualche ora, e come anticipato il Comitato Olimpico ha preferito rispondere facendo le proverbiali “orecchie da mercante”. Una macchia d’ipocrisia che, per l’appunto, si aggiunge a una narrazione – quella del cibo servito alla mensa olimpica, per l’appunto – già controversa.
Il cibo, in altre parole, è stato un tema centrale alle Olimpiadi di Parigi – anche se non nel modo in cui gli organizzatori si sarebbero augurati, viene da pensare. “Non ci sono abbastanza opzioni proteiche, e si aspetta in fila per mezz’ora perché non c’è un sistema di gestione delle code” ha spiegato ad esempio Adam Peaty, nuotatore britannico. Il dubbio sorge spontaneo: nel rispetto della narrazione sostenibile sopracitata, perché le risorse necessarie ad approvvigionare e preparare il foie gras non sono state spese in altro modo?