Sulla porta delle Langhe, oltre cui si allungano le dorsali scintillanti riconosciute dall’Unesco, esistono ancora dense sacche di ombra. Sono ben nascoste, beninteso, ma di tanto in tanto, per chi ha la cura di affacciarsi, emergono come dal fondo limaccioso di un pozzo. La Gazzetta d’Alba, giornale con sede nella cosiddetta capitale delle Langhe, ne è esempio, e in un articolo recente ha raccontato della condizione di alcune lavoratrici che confezionano gli Ovetti Kinder (e non solo) ad appena cinque euro l’ora netti.
A puntare i riflettori sono anche e soprattutto i sindacati, che spiegano come l’azienda madre – la Ferrero di Alba, per l’appunto – abbia preso, da trent’anni a questa parte, a esternalizzare le operazioni di confezionamento; comprimendo così il costo del lavoro e con esso i diritti degli stessi lavoratori.
La denuncia dei sindacati
Il risultato è quello a cui abbiamo accennato in apertura di articolo – squadre di donne e di uomini, spesso stranieri ma non solo, che lavorano per uno stipendio irrisorio. Sono più che eloquenti, a tal proposito, le parole di Vincenzo Lauricella, dirigente sindacale e membro del Coordinamento nazionale lavoro privato dell’Usb, intervistato per l’appunto dalla Gazzetta.
“Al nostro sindacato si sono rivolte lavoratrici che hanno avuto il coraggio di rompere il silenzio e denunciare la situazione che si ripete negli appalti della multinazionale” ha spiegato Lauricella. ” Le condizioni economiche, caratterizzate da rapporti a tempo parziale, con l’utilizzo di dubbie pattuizioni sindacali, prevedono retribuzioni di circa cinque euro netti“.
Le lavoratrici in questione sono parte di una cooperativa dell’Albese, la Gtpm, dal primo maggio scorso in mano alla Proteco Srl; ma pensare che il loro sia un caso isolato significherebbe, francamente, peccare di ingenuità. La cooperativa di cui sopra lavora “esclusivamente per conto della multinazionale Ferrero”, spiega ancora Lauricella, che come accennato in apertura di articolo ha esternalizzato il servizio di confezionamento da circa trent’anni.
I numeri del settore suggeriscono, per l’appunto, che il fenomeno sia più radicato di quanto potrebbe far piacere credere. Secondo Lauricella “il servizio di confezionamento dei prodotti agroalimentari è molto sviluppato in provincia di Cuneo”, con diciotto imprese (insieme che comprende anche le cooperative) che operano direttamente nel confezionamento e che occupano all’incirca tremila addetti.
Ad allentare le maglie dei diritti, favorendo casi di questo tipo, è in primis un nodo di natura contrattuale. Ancora una volta facciamo affidamento alla spiegazione di Lauricella: “I rapporti di lavoro del personale addetto al confezionamento e impiegato nelle imprese non sono regolamentati da un contratto collettivo nazionale, ma da un accordo legato al territorio (Cpl)”.
“Nel settembre 2011, le associazioni datoriali e i tre sindacati hanno concordato l’applicazione di un accordo provinciale in attesa della determinazione, a livello nazionale, di un contratto nazionale compatibile e applicabile a questo comparto”. Questo contratto non viene però applicato perché, secondo la lettura di Lauricella, sarebbe “poco conveniente alla grande impresa”; con sindacati e datori che hanno preferito firmare un Cpl provinciale particolarmente carente in termini di tutela dei diritti.