Era abbastanza prevedibile: dopo la crociata contro la plastica (sacrosanta e giustissima, per carità), ecco che tutti si sono messi a osannare cannucce, tazzine e bicchieri di carta, come se fossero la panacea di tutti i mali. Dimenticandosi, però, un semplice dato di fatto: che quando succedono cose del genere, solo col passare del tempo si vedono se ci sono effetti collaterali nocivi sfuggiti all’inizio. Perché pare che sia questa la situazione: uno studio ha infatti sottolineato come le alternative ecocompatibili e green alla plastica in realtà contengono diverse sostanze chimiche difficili da smaltire nel breve periodo e che potrebbero essere potenzialmente tossiche.
Dunque le cannucce di carta non sono così green come ci era stato fatto intendere?
A quanto pare no. Il che vuol dire che ci siamo letteralmente sorbiti per niente cannucce che se te le dimentichi un po’ di più nel bicchiere o nel brick rischiano di sciogliersi. In realtà sono due gli studi che sostengono più o meno la stessa cosa.
Il primo è quello condotto da ricercatori del Belgio: hanno esaminato 39 marche di cannucce per cerca al loro interno i PFAS, cioè le sostanze poli e perfluoroalchiliche che troviamo anche nelle padelle antiaderenti e che si decompongono assai lentamente, rimanendo anche migliaia di anni nell’ambiente. Queste cannucce erano di cinque materiali diversi:
- carta
- bambù
- vetro
- acciaio inossidabile
- plastica
Si trattava di marche presenti comunemente nei negozi, nei supermercati e anche nei fast-food. Ebbene: dagli esami è saltato fuori che i PFAS si trovavano nella maggior parte dei campioni in esame. Anzi: ce ne erano di più nelle cannucce di carta e di bambù.
Andando a vedere nei dettagli i dati, il 69% delle cannucce prese in esame conteneva PFAS, con ben 18 tipi di PFAS diversi riscontrati. Quello più comune era l’acido perfluoroottanoico, il PFOA, sostanza chimica vietata a livello mondiale dal 2020. Inoltre non mancavano anche PFAS come l’acio trifluoroacetico o TFA e l’acido trifluorometansolfonico o TFMS, entrambi a catena ultra corta e molto solubili in acqua. Il che vuol dire che possono passare dalle cannucce nelle bevande.
C’è anche da dire, però, che nella maggior parte dei casi, si usano poco le cannucce, dunque i rischi per la salute umana appaiono limitati. Solo che i PFAS possono rimanere nell’organismo per anni e anni, accumulandosi col passare del tempo.
Thimo Groffen, ricercatore e scienziato ambientale presso l’Università di Anversa, nonché autore dello studio, ha spiegato come le cannucce realizzate con materiali di origine vegetale come carta e bambù sono spesso pubblicizzate come più ecologiche e sostenibili rispetto a quelle in plastica. Ma forse non è proprio così, tanto che gli autori del report hanno invitato tutti a non usare proprio le cannucce o, al massimo, a usare quelle di acciaio inossidabile.
Un secondo studio similare, invece, ha testato le tazzine di carta. Pubblicato su Environmental Pollution, è stato realizzato dai ricercatori dell’Università di Gothenburg in Svezia. In questo caso i ricercatori hanno lasciato le tazzine di carta e quelle di plastica in ambiente umido o nell’acqua per settimane, controllando come il rilascio di sostanze chimiche influenzasse la crescita delle larve di zanzara.
Ebbene: sia le tazzine di carta che quelle di plastica hanno impattato negativamente sulla crescita delle zanzare. Il fatto è che la carta usata per le confezioni alimentari viene trattata con uno strato superficiale di plastica, spesso in polilattide, una bioplastica prodotta da risorse rinnovabili come il mais, la canna da zucchero o la manioca. Solo che le bioplastiche, a quanto pare, non si degradano come dovrebbero quando finiscono in acqua.
Questo fa sì che anche queste microplastiche persistano nell’ambiente. E anche se si parla di bioplastiche in realtà contengono sostanze chimiche esattamente come le plastiche normali. Quindi anche gli imballaggi di carta possono essere un rischio per l’ambiente, anche in virtù del fatto che, su alcune sostanze chimiche di queste plastiche, mancano effettivamente studi riguardo una loro eventuale tossicità.
Secondo Bethanie Carney Almroth, autrice dello studio, l’unica soluzione è insegnare alla gente ad abbandonare lo stile di vita monouso.