Butterfly effect? No, non proprio. Su queste pagine abbiamo parlato ampiamente del cosiddetto Bud Light Gate, il caso mediatico – con ovvie e forse un po’ grossolane sfumature politiche – innescato dalla partnership tra quella che, nel bene o nel male, è la birra che associamo all’americano medio per eccellenza e l’attivista transgender Dylan Mulvaney.
Collaborazione che, a scanso di equivoci, non può che essere definita come un disastro. In ordina sparso, la scelta di un testimonial transgender ha innescato un boicottaggio su scala nazionale, un taglio di quasi un terzo degli utili, un crollo in borsa, la nascita di competitor agguerritissimi, interi lotti invenduti o ignorati (persino quando tali lotti erano offerti gratis), l’avanzare dell’ombra di decapitazioni di alto profilo e il licenziamento di centinaia di lavoratori, con le conseguenti tensioni scioperiste che potrebbero innescare una carenza di birra.
Il Bud Light Gate in numeri
Al netto della evidente omofobia del pubblico in questione è bene notare come l’intera operazione sia figlia di una lettura comunicativa estremamente grossolana, che ha in primis dimostrato come l’evidente volontà di espandere il proprio mercato di riferimento abbia dato per scontata (in maniera fatale, come vedremo tra poco) la fedeltà del proprio target originale.
Questa, seppur dovutamente sintetizzata, è la cronologia dell’ultimo anno (da incubo) in casa Bud Light. Per renderci conto della magnitudo effettiva del terremoto innescato da una collaborazione con un testimonial transgender, però, può essere utile dare un’occhiata a qualche numero: stando al più recente rapporto sugli utili del quarto trimestre di Ab InBev, il colosso della birra avrebbe registrato un crollo di 1,4 miliardi di dollari nel 2023 nel solo contesto nordamericano.
“Solo”, ce ne rendiamo conto, è riduttivo: d’altro canto proprio la terra a stelle e strisce è stato l’epicentro del Bud Light Gate, e gli stessi vertici di Ab InBev hanno imputato il grosso della responsabilità del crollo di cui sopra al “calo dei volumi di Bud Light”. Altro dato interessante è che i volumi globali negli ultimi tre mesi del 2023 sono di fatto diminuiti di appena il 4%, mentre quelli inerenti al contesto americano sono scesi di oltre il 15%.
Vale comunque la pena notare che, anche considerando la grossa macchia del Bud Light Gate, Ab InBev ha chiuso l’anno passato mettendo a segno un profitto netto: numeri alla mano, infatti, i ricavi del quarto trimestre sono aumentati del 6% a 14,5 miliardi di dollari. A un anno circa dal primo contenuto prodotto in partnership con Mulvaney, la collaborazione e le sue conseguenze rimangono un interessante disasterclass di marketing e comunicazione: vedremo se gli sforzi più recenti per riavvicinarsi al proprio pubblico originale, come il coinvolgimento di Donald Trump e la presenza al SuperBowl, saranno sufficienti a ricostruire la reputazione.