Sulle pendici dell’Etna si parla di vendemmia tragica, con intere file di vigneti che hanno perso quasi l’intero raccolto. Attenzione, però: parlare di un unico neo su di un paesaggio – quello del vigneto italiano, per intenderci – altrimenti intonso significherebbe peccare di ingenuità. La situazione dell’Etna non è un unicum, ma piuttosto un microcosmo che racconta di un più ampio mosaico di difficoltà, dove ogni tassello è mosso dalla stessa causa principe – il cambiamento climatico.
Ma andiamo con ordine. A gettare ombra sulla vendemmia 2023, sull’Etna così come su molte altre parti d’Italia, è soprattutto la peronospora, che nelle condizioni di forte umidità dovute agli acquazzoni estivi e primaverili ha trovato le condizioni ideali per prosperare; tant’è che i rapporti di metà luglio, quando di fatto l’appuntamento con la raccolta cominciava a fare capolino all’orizzonte, parlavano addirittura di perdite fino al 40% a causa dell’azione del fungo.
Vendemmia 2023: le difficoltà sull’Etna e nel resto d’Italia
In una breve intervista rilasciata a The Drinks Business Giordano Lorefice, proprietario delle Tenute dei Ciclopi sull’Etna, ha confessato di aspettarsi una resa di appena il 10% rispetto alla produzione abituale, puntando il dito per la massiccia diminuzione in volume proprio all’azione della peronospora.
“Non abbiamo mai avuto attacchi di peronospora così gravi negli ultimi 10 anni; è una tragedia, abbiamo perso il 70-90% del raccolto” ha spiegato. “Siamo biologici e non abbiamo alcuna possibilità di ucciderlo, possiamo solo provare a isolarlo”.
Come abbiamo anticipato in apertura di articolo, è bene notare che quella di Lorefice non è affatto una situazione disperata: Mario Paoluzi de I Custodi, un altro produttore che possiede vigneti sulle pendici settentrionali dell’Etna ha affermato che in alcuni appezzamenti fino al 95% della produzione per la vendemmia di quest’anno è stata distrutta dal fungo.
A onore del vero è giusto sottolineare che tanto I Custodi quando Tenute dei Ciclopi sono, come brevemente accennato, produttori certificati biologici, e non hanno pertanto potuto impiegare fungicidi o altre sostanze per combattere gli attacchi di peronospora (salvo spruzzare rame – che, tra parentesi, finisce poi per accumularsi comunque nel terreno – e zolfo sulla vite); ma l’ombra del fungo ha ugualmente coinvolto anche i produttori tradizionali.
Verso la fine di agosto, quando la vendemmia era ormai alle porte se non già cominciata in alcuni angoli d’Italia, i rapporti parlavano di uno degli anni peggiori di sempre per il vino italiano (almeno a livello quantitativo, beninteso: il capitolo della qualità, al momento, non ci riguarda); e stime ancora più recenti – la seconda settimana di settembre – parlavano di cali tra il 20 e il 40 per cento per il Centro e il Sud. I danni del cambiamento climatico sulla viticultura, in altre parole, sono già sotto gli occhi di tutti.