Il primo formaggio a marchio Val di Non continua a muoversi nella controversia. Un breve riassunto, per chi si era seduto in fondo: nell’estate del 2017 un bambino di appena quattro anni finì in stato vegetativo dopo avere mangiato del formaggio con latte crudo nel caseificio di Coredo. Il piccolo Mattia – questo il suo nome – fu di fatto vittima della sindrome emolitico-uremica causata dal batterio dell’escherichia coli, e ha passato gli ultimi sette anni in stato vegetativo.
Per lui, raccontano i genitori, non c’è purtroppo più nulla da fare: Mattia viene colpito da una trentina di crisi epilettiche al giorno, e i suoi genitori sono costretti a somministrargli 47 farmaci al giorno – “Uno ogni ora e mezza”, raccontano. Il giudice di pace di Cles, al fiorire della tragedia, riconobbe colpevoli del reato di lesioni personali colpose gravissime Lorenzo Biasi, l’allora legale rappresentate del caseificio sociale di Coredo, e lo stesso casaro Gianluca Fornasari, responsabile del piano di controllo.
Dalla condanna al Val di Non Fresco Formaggio Nostrano
Torniamo dunque ai giorni nostri, o quasi. Un mesetto fa circa venne presentato il Val di Non Fresco Formaggio Nostrano, primo prodotto agroalimentare forte del marchio di questo particolare angolo dello Stivale, la cui realizzazione è di fatto affidata al caseificio sociale di Coredo – ossia lo stesso condannato per la tragica vicenda spiegata nelle righe precedenti.
Giovanni Battista Maestri, padre del piccolo Mattia, ha comprensibilmente ritenuto opportuno muoversi in campo penale e amministrativo per chiedere il ritiro immediato del marchio assegnato dall’Apt Val di Non al caseificio di cui sopra: “Il marchio” ha spiegato Maestri ai colleghi del Corriere della Sera “è stato conferito per la produzione di una particolare tipologia di formaggio. Si tratta di un riconoscimento irrispettoso nei confronti di un bambino che sopravvive da sette anni”.
La lettura proposta dai legali della famiglia, stando a quanto lasciato trapelare fino a ora, è di un’azione di natura amministrativa per violazione del codice di consumo e per pubblicità ingannevole, con la potenziale aggravante di frode in commercio.
“È incredibile che Concast, Apt Val di Non e l’assessorato provinciale all’agricoltura abbiano deciso di assegnare questo riconoscimento a un caseificio che è stato giustamente condannato per quanto accaduto a mio figlio” ha spiegato ancora Maestri. Il timore, più che legittimo, è che dietro la strategia comunicativa delle autorità locali ci sia la volontà di occultare “il rischio sanitario legato ai formaggi con latte non pastorizzato”.
“In questi anni non ho mai chiesto risarcimenti, ma dopo l’assegnazione del marchio intendo procedere e valuterò anche la strada di una causa civile” ha concluso il padre di Mattia. “La nostra famiglia non si darà pace finché non verrà tolto il logo dell’Apt al caseificio di Coredo“.