La quattordicesima edizione di Masterchef inizia a scaldare i motori con la puntata dedicata alle selezioni. Per lo più una carrellata di macchiette e casi umani, la cui esagerata sproporzione tra ambizioni e capacità culinarie hanno causato una miriade di divertenti -per noi spettatori- cazziatoni, e hanno dato occasione alla nuova giudice in pectore Chiara Pavan di dimostrarsi, severa ma giusta, assolutamente all’altezza del ruolo.
A cacciarsi particolarmente nei guai un ragazzo che pensava di guadagnarsi l’accesso alla competizione con un risotto, e nonostante una certa sicumera iniziale, non ne azzecca una. Si dimentica di salare il riso e lo butta nel lavandino, giustificando le ire di Pavan, ma è Bruno Barbieri ad essere il più perplesso, soprattutto sulla scelta della varietà: alla risposta “Carnaroli”, il giudice bolognese sbuffa insofferente. Ma come, il re dei risotti non va bene?
La teoria di Barbieri sul risotto
“Speriamo bene” era il nome del piatto, un risotto ai carciofi con ricotta di capra, mentuccia e carciofi fritti, non bellissimo da vedere ma sulla carta nulla di improponibile. Ma già prima dell’assaggio Barbieri ha da ridire: “risotto all’onda col Carnaroli… non si può sentire eh”. Ah, quindi non era la varietà in sé il problema, ma la scelta relativa alla tecnica.
Abbiamo consultato qualche suo video dedicato ai risotti, e siamo alla fine riusciti a sviscerare il Barbieri-pensiero al riguardo: il Carnaroli va bene per il risotto mantecato, per quello all’onda ci vuole il Vialone Nano. Una teoria alquanto strampalata, che fatica subito a trovare supporto empirico in migliaia di risotti perfettamente all’onda preparati nel fine dining italiano e non solo, basti pensare a quanti risi Acquerello o Riserva San Massimo vediamo nelle carte dei ristoranti.
Amidi, griglie e il parere di un esperto
Ma ragioniamoci un po’ su, senza entrare troppo nel tecnico: quello che rende un riso più o meno adatto all’utilizzo nel risotto è la quantità di amilosio, una delle componenti dell’amido insieme all’amilopectina, e tra Carnaroli e Vialone non c’è tutta questa grande differenza, essendo entrambi su valori medi tra il 20 e il 25%, con ogni produttore che ovviamente fa storia a sé.
Sappiamo inoltre che fare troppo i talebani circa le varietà ha poco senso, visto che il Carnaroli “vero” molti di noi non l’hanno mai mangiato. Si tratterà piuttosto di varietà con caratteristiche simili, che rientrano nelle cosiddette “griglie” stabilite per legge nel 1958: risi come il Karnak, Keope, Carnise, Poseidone, che sotto il nome commerciale Carnaroli riscuotono ben altro successo.
Discorso diverso per il Vialone Nano (e il Sant’Andrea), le cui griglie prevedono comunque una sola varietà. Ma volendo dare al sette volte stellato giudice di Masterchef il beneficio del dubbio, abbiamo chiesto un parere anche a un esperto, uno dei massimi interpreti italiani del risotto: Christian Costardi, chef col fratello Manuel dell’omonimo ristorante di Vercelli e del Caffè San Carlo e Scatto a Torino, che ci illumina: “l’onda è un movimento meccanico fatto per far assorbire i grassi al riso e ottenere la giusta consistenza tra parte liquida, solida e grasso alla temperatura di servizio perfetta.
Si può usare Carnaroli, Arborio, Sant’Andrea o Baldo (ma in realtà anche molte altre varietà si adattano all’onda..) posto che ogni Carnaroli é diverso e bisogna conoscerlo”. Ecco, ci pareva a noi.
Le “Barbierate”
Vi confesso una cosa: quando in redazione si è accennato a questo aneddoto, si è scatenato un putiferio. Ognuno aveva la sua personale “Barbierata” -le faremo passare alla storia così- che ha causato lanci di oggetti contundenti verso lo schermo.
Qualcuno si è ricordato del burro nella pasta e vongole (che sarebbe anche il meno, mezzo mondo mangia i frutti di mare col burro), altri rammentano una pasta patate e provola che gridava vendetta in cui il nostro suggeriva di mangiare il picciolo dei pomodorini, e se non volete farli confit in forno potete farli “fuori dalla finestra”, ricetta suggeritagli dal collega Cannavacciuolo: sarà, ma se qualcun altro si fosse azzardato a sostituire la provola col provolone, Antonino gli avrebbe scombinato le vertebre a suon di paccheri.
Suprema la Barbierata sulla carne e sul fatidico “sigillare i pori”, concetto ormai ritenuto anacronistico anche dal più sprovveduto cuoco della domenica, e di cui l’ex chef del Trigabolo di Argenta, della Grotta di Brisighella, della Locanda Solarola a Castelguelfo e di Villa del Quar a Verona, sembra ormai essere uno degli ultimi sostenitori.
Da qui vale la pena trarre una riflessione: si è cucinato bene per una vita anche senza certe moderne consapevolezze, e Barbieri sicuramente l’ha fatto. Se l’idea, intuitiva ma scientificamente scorretta, del sigillare la carne per non perderne i succhi ha spinto generazioni di cuochi a dare belle rosolature brunite a pezzi di carne ha funzionato finora, non significa che un concetto errato vada perpetuato, men che meno da chi si ritrova nel ruolo di fare divulgazione gastronomica di fronte a un grande pubblico. Il personaggio Barbieri è ormai sempre più concentrato sugli ammiccamenti alla telecamera, e la noncuranza con cui inanella una Barbierata dopo l’altra ne è ormai una prova lampante. Sarà stata questa la ratio con cui ha deciso di legare la sua immagine a prodotti dolciari dimostratisi finora disastrosi?