La colazione al bar è sempre più cara, ahinoi, e non c’è luce in fondo al tunnel. Parola (anche e soprattutto) di Cristina Scocchia, amministratore delegato di Illy, di recente intervenuta a un Meeting in quel di Rimini per parlare (di nuovo: anche e soprattutto) di caffè, di prezzi, di rincari.
“Il mercato continua a essere caratterizzato da un prezzo del caffè verde che è molto volatile e da un trend rialzista senza precedenti”, spiega Scocchia. Nulla di nuovo sul fronte occidentale, diranno i più cinici: vi ricordiamo, ad esempio, che ad aprile del 2024 i prezzi della Robusta hanno raggiunto l’apice degli ultimi 45 anni (così sostiene il report redatto dall’International Coffee Organization). Per fortuna ai prezzi più alti corrisponde anche uno speculare aumento di qualità, vero?
In soldoni: e la tazzina al bar?
Ve la facciamo breve – il meteo prevede nuovi aumenti di prezzo. “Oggi il caffè verde costa 245 cents per libbra, il 66% in più dell’anno scorso, oltre il doppio rispetto a tre anni fa” ha spiegato ancora Scocchia. E la tazzina al bar? Quella “costa in media un euro e mezzo in Italia. E si stima che aumenterà ancora, e che possa arrivare a toccare i 2 euro nei prossimi mesi se queste pressioni rialziste sul costo del caffè verde, la materia prima, continueranno”. Il che, e scusateci se siamo guastafeste, hanno tutta l’aria di volerlo fare.
Il primo imputato è il clima. Siccità estrema, poi inondazioni, poi gelate: fenomeni estremi che impattano sulle produzioni agricole, caffè ovviamente compreso, mutilandone la produzione e strozzando le rese. E i prezzi, vien da sé, salgono.
Parliamo di numeri: a fine 2021 il Brasile, responsabile del 35% del raccolto globale, ha fatto registrare una produzione inferiore del 24,4% rispetto al raccolto precedente. Da altre parti – Vietnam, secondo produttore al mondo: attualmente strozzato dal cappio della siccità – le cose non vanno meglio, e poi si aggiunge il pasticcio del canale di Suez. Di che si tratta, chiedete voi?
Spiegato semplice: il passaggio per Suez è cruciale per la Robusta vietnamita (e non solo, beninteso). Lo scorso maggio Antonio Barravalle, CEO del Gruppo Lavazza, parlava di ritardi “fino a venti giorni in più” e costi finali “almeno quadruplicati“. Scocchia è più vaga: la sua lettura è che il “problema legato al canale di Suez” abbia più generalmente “fatto lievitare i costi e allungato i tempi”. Cambiano gli addendi ma non il risultato.