Brian Niccol si è seduto sulla poltrona dell’amministratore delegato di Starbucks da appena una manciata di mesi. Dall’ormai ex CEO, Laxman Narasimhan, ha ereditato un mosaico complesso e compromesso, con vendite tanto basse da avere attirato l’attenzione dello stesso Howard Schutlz, fondatore e a sua volta ex CEO. E si sa: tutti sanno che quando entra in gioco l’ex sono problemi all’orizzonte.
Niccol dice niente paura: riporterò la sirena in verde a navigare in acque più tranquille. Come? Con la sempreverde promessa di una rivoluzione, e l’idea di riportare gli store del colosso del caffè all’identità di “terzo luogo”. Pare figo. Ma siamo sicuri che c’entri qualcosa con la crisi in atto?
Cosa cambierà nei punti vendita?
Primo atto: store overhaul, o “rinnovazione dei punti vendita”. Stando a quanto riportato dai colleghi d’Oltreoceano la rivoluzione niccoliana parte da posti a sedere più comodi, tazze in ceramica e la ferrigna promessa di un servizio forte di meno di quattro minuti di attesa.
L’idea di Niccol è di voler rendere “più facile per i nostri clienti prendere una tazza di caffè”. Secondo atto: semplificare il menu. Abbiamo già visto le prime esecuzioni pubbliche: il primo a perdere la testa è stato Oleato, la linea di caffè infusi con olio d’oliva apparentemente ispirata da un viaggio in Sicilia e passata alla storia come un ottimo lassativo.
Vale la pena notare che l’approdo di Niccol, ex Taco Bell e Chipotle, ha trovato un forte sostegno da parte degli investitori: in seguito alla sua nomina le azioni di Starcbuks aumentarono di circa il 26%, segno di evidente fiducia nei suoi confronti. Ma la nostra domanda resta: rifare il trucco ai punti vendita sarà sufficiente a tamponare la crisi delle vendite?
Nella giornata di mercoledì scorso Starbucks ha registrato un calo del 7% nelle vendite globali comparabili per il quarto trimestre; e lo storico recente è folto di altrettanti segni in rosso. Sul banco degli imputati c’è in primis l’aumento del costo della vita e l’inflazione: il caffè di Starbucks è dunque scivolato rapidamente verso il basso nella lista delle priorità, passando da coccola (relativamente) costosa e più o meno trendy a un vizio tranquillamente rinunciabile.
Insomma: il problema, pare di capire, sono soprattutto i prezzi, evidentemente troppo alti per rimanere a galla in un mondo dove il potere d’acquisto dell’individuo medio è sempre più magro. Nei piani di Niccol non si legge di prezzi, ma solo di make up: basterà a risollevare le sorti dell’azienda?