Facciamo un piccolo riassunto per chi si fosse seduto in fondo – il legame che unisce i biscotti Oreo e Chiara Ferragni è una delle tante declinazioni dell’affaire pandoro. La torbidezza di tale collaborazione tra il brand e l’influencer deriva, come avrete intuito, dalla parola beneficenza; ben piazzata a comunicare una limited edition risalente al 2020 con packaging brandizzato dal noto occhio azzurro. “Dare uovo gusto allo stile e contribuire alla lotta contro il Covid-19” si legge nell’annuncio di Ferragni. “Il 100% dei ricavati della capsule verrà destinato ad un’iniziativa a supporto della lotta contro il Covid-19”.
Galeotta fu la dicitura “adv”, che fece sorgere dubbi legittimi sulla effettiva virtù di tale operazione di beneficenza. Il Codacons, che contestualmente ha annunciato controlli a tappeto su altri influencer italiani, ha sottolineato le discrepanze: “Ferragni prometteva che il 100% del ricavato delle vendite di tali abiti sarebbe andato in beneficenza per iniziative contro il Coronavirus”, si legge in un comunicato dell’associazione.
Di risposte e zone d’ombra
Mondelez Italia, titolare del marchio Oreo, ha composto una lettera di risposta al Codacons. “In risposta alla vs lettera del 15/01/2024 si rende necessario evidenziare preliminarmente che l’accordo di collaborazione tra Oreo e Chiara Ferragni comportava che la Sig.ra Chiara Ferragni disegnasse un packaging in limited edition di Oreo Double, in vendita da Marzo 2020 per un breve periodo e da noi venduto alla grande distribuzione allo stesso prezzo di cessione del prodotto standard”.
Fin qui tutto piuttosto chiaro. Le linee del discorso, come fa anche notare Selvaggia Lucarelli dal suo profilo Instagram, si fanno più sfocate quando si tratta di dissipare le ombre attorno al discorso beneficenza. “Contemporaneamente veniva creata una capsule collection (linea di abbigliamento in edizione limitata ritraente il biscotto Oreo) a marchio Oreo by Chiara Ferragni” continua Mondelez. “La capsule collection Oreo by Chiara Ferragni comprendeva una parte utilizzata come premio del concorso ‘Libera il tuo stile Oreo’ nel 2020, e come tale non oggetto di vendita, e un’altra parte dedicata, venduta direttamente dalla Sig.ra Chiara Ferragni attraverso i propri canali. La collaborazione sopra descritta non prevedeva alcun accordo di beneficenza”.
In seguito all’emergenza Covid Chiara Ferragni avrebbe “deciso autonomamente, al di fuori dell’accordo commerciale in essere, di donare in beneficenza l’ammontare derivante dai proventi della vendita della parte della capsule collection nella sua disponibilità” prosegue l’azienda. “Venuti a conoscenza della sua decisione di procedere in tal senso, anche Oreo ha deciso di effettuare una donazione allo stesso ente (Cesvi a favore dell’emergenza coronavirus)”.
Come accennato nelle righe precedenti è Selvaggia Lucarelli a sforzarsi di riordinare i pezzi e fare luce dove il dubbio continua a persistere. “Se però la beneficenza non era negli accordi e Ferragni l’ha fatta per conto suo, perché questo post “insieme per la lotta al Covid?”” ha scritto la giornalista. “E perché non si parla dunque SOLO di beneficenza ma si mostra il BISCOTTO (che invece fa parte dell’accordo commerciale) con tanto di hashtag adv?”.
La lettura che propone Lucarelli è che, al di là delle modalità o delle persone coinvolte nelle donazioni, l’uso della parola beneficenza “fosse comunque utile o a spingere le vendite del prodotto o ad ammantare l’operazione di una nobiltà morale di fondo”. In definitiva, man mano che il vaso di pandoro continua a svelare i suoi doppi fondi, c’è una verità che si sta qualificando sempre più come indiscutibilmente necessaria: meglio imparare a guardare con sana diffidenza all’aura di implicita virtù che aleggia attorno alla parola “beneficenza”.