Il debutto dell’annuale campagna di trasformazione del pomodoro avviene tra incertezze e polemiche – le prime legate alle difficoltà e ai danni di natura climatica – ambientale e le seconde innescate dalla più recente battaglia a stampo coldirettiano. Ma andiamo con calma partendo, come di consueto, dalla natura affidabile dei numeri: i dati indicano 68600 ettari messi a coltura, in crescita del 5% rispetto all’anno precedente, che dovrebbero tradursi in una produzione complessiva di circa 5,6 milioni di tonnellate (una stima naturalmente “macchiata” dalla variabilità che intercorre tra rese agricole e industriali e che, come accennato, è ancora minacciata dall’incognita climatica).
La raccolta del pomodoro tra incertezze e polemiche
Altro capitolo di incertezze – ma, per forza di cose, decisamente importante – è quello dedicato alla marginalità. Nulla di nuovo dal fronte occidentale, diranno i nostri lettori più informati: da un paio di anni a questa parte, la filiera agricola – quella del pomodoro evidentemente inclusa – si è trovata a dover combattere con costi di produzione, di imballaggio e di distribuzione in costante salita. “Si profila un’annata commerciale particolarmente complicata” è la lettura proposta dal direttore generale Anicav, Giovanni De Angelis “e sarà impossibile recuperare costi di produzione alle stelle”.
A rendere queste acque già torbide ancora più tumultuose c’è la nuova protesta che si agita sotto il vessillo gialloverde della Coldiretti. L’associazione agricola, unite le forze con Filiera Italia, ha redatto un comunicato che si azzarda a chiedere il divieto di importazione di pomodoro dalla Cina. Una battaglia che, fondamentalmente, porrebbe le due organizzazioni al di sopra del WTO nella gerarchia globale del commercio.
Una richiesta, è importante notarlo, addobbata da un virtuosismo umano del tutto inaspettato (e, considerato lo stato in cui versano i braccianti in Italia, anche ironico): “Alle frontiere nazionali si assiste al balzo del +50% delle importazioni di concentrato di pomodoro cinese” si legge nel sopracitato comunicato “che costa la metà di quello tricolore grazie allo sfruttamento dei prigionieri politici e della minoranza musulmana degli Uiguri nello Xinjiang”.
Anche in questo caso, i dati parlano chiaro: secondo il World Processing Tomato Council la Cina ha sorpassato l’Italia nella classifica mondiale dei produttori di pomodoro da industria. Lo Stivale, per chi se lo stesse chiedendo, occupa ora il terzo posto complessivo.
L’appello di Coldiretti e Filiera Italia è stato naturalmente rivolto al ministro dell’Agricoltura e della Sovranità Alimentare Francesco Lollobrigida, ancora gongolante per la morte della filiera italiana della carne coltivata. Per Ettore Prandini e Luifi Scordamaglia, presidenti delle rispettive e sopracitate organizzazioni, la produzione di pomodoro cinese, concentrata “per l’80% nella regione dello Xinjiang”, è una “violazione dei diritti umani confermata nei mesi scorsi anche dall’Onu e dallo stesso Parlamento europeo”.