Tecniche di Evoluzione Assistita, o TEA per gli amici. Di che si tratta? Ve la facciamo semplice (forse troppo): si tratta di tecniche di editing genetico che permettono di disattivare e “spostare”, tramite un “taglia e incolla”, caratteristiche già appartengono all’organismo, senza dunque aggiungere o inserire altri elementi genetici esterni. Guai a confonderle con gli OGM, dunque, che sono tuttora vietati. Veniamo alla notizia, dunque: in Valpolicella è stata messa a dimora una vite TEA resistente alla peronospora.
La notizia dovrebbe essere tratta con i guanti delle grandi occasioni. Si tratta a tutti gli effetti di un primato europeo; e di un esperimento che potrebbe sollevare un’ombra – quella della peronospora, per l’appunto – che in particolare nella scorsa vendemmia ha causato una pesantissima mutilazione produttiva. Eppure, anziché farci prendere dall’entusiasmo, preferiamo essere cauti.
La lezione del riso e la paura
Badate bene: non vogliamo certo essere guastafeste, ma semplicemente la storia – soprattutto quella recente – ci insegna che c’è ancora tanta paura. Negli ultimi mesi, su di queste pagine, abbiamo seguito la vicenda del progetto RIS8imo, che comprendeva la sperimentazione in campo di un riso TEA modificato per resistere al fungo responsabile della malattia nota come brusone.
Si trattava della prima sperimentazione in Italia da vent’anni a questa parte, e della prima in assoluto autorizzata con piante ottenute dalle Tecniche di Evoluzione Assistita in agricoltura. Il risultato, ahinoi, è noto: verso la metà di giugno, con il favore della notte, alcuni ignoti si sono introdotti nel campo in questione e l’hanno distrutto.
Si era parlato di “gesto criminale“, di “profonda ignoranza frutto anche di una propaganda distorta“, di “violenza oscurantista e antiscientifica”; ma il risultato è comunque più che eloquente. Ora la vite in Valpolicella, risultato di un progetto portato avanti da Edivite, società spin off dell’Università di Verona nata proprio con l’obiettivo di produrre viti più resistenti ai patogeni e ridurre dunque l’utilizzo di fitosanitari necessari per la difesa dei vigneti.
“Abbiamo mutato dei geni che danno suscettibilità alla peronospora” ha spiegato Sara Zenoni, docente di Genetica Agraria dell’Università di Verona e responsabile del progetto. “Questi geni sono stati già identificati in natura come mutati nelle piante resistenti. Abbiamo lavorato con lo Chardonnay, di cui produciamo dieci milioni di barbatelle in Italia”. I test in laboratorio hanno dato ottimi risultati: “Ora è arrivato il momento di verificare in campo, con condizioni naturali“. Incrociamo le dita.