È stato sanzionato e chiuso per cinque giorni “La Parrilla Mexicana”, ristorante milanese ormai portabandiera del movimento #ioapro, che aveva aperto per cena ai clienti, nonostante il divieto, facendoli entrare solo dopo un tampone rapido all’ingresso.
Una soluzione fantasiosa, magari anche utile per aprire un dibattito sul tema, ma che di certo non bastava a evitare l’intervento delle forze dell’ordine, che prontamente sono arrivate e hanno sgomberato il locale. Dai clienti, ma non dall’inviata di Barbara D’Urso, che è rimasta nel ristorante a intervistare Paolo Polli, ristoratore tra i più agguerriti nella lotta contro i divieti e le chiusure, con proposte e modalità spesso discutibili.
Lui, ormai volto della protesta e talmente avvezzo alle telecamere Mediaset da chiamare semplicemente “Barbara” la conduttrice, racconta la vicenda in vece di Mary, proprietaria del locale milanese, già al centro di polemiche social per alcuni suoi commenti negazionisti (“l’emergenza sanitaria è una buffonata, il Covid esiste ma non è come vogliono farci credere, gli ospedali dicono che tutti muoiono di Covid solo perché prendono dei soldi”) e per una precedente adesione alla protesta #ioapro davvero un po’ troppo sopra le righe, con musica, balli e pochissimo rispetto del distanziamento sociale.
Perché protestare è lecito, ed è lecito anche farlo con iniziative volte ad accendere i riflettori su una questione problematica che evidentemente esiste, ma è meno lecito e condivisibile scegliere di farlo in maniera non sicura, mettendo a rischio i propri clienti e i propri dipendenti.
Come discutibile è in effetti, anche in quest’ultima occasione, decidere di riempire un locale di persone pur con i risultati di un tampone rapido alla mano.
Se davvero si vuole fare un’azione dimostrativa e simbolica, allora che simbolica sia, e per portare avanti la discussione e finire da Barbara D’Urso basta l’idea, senza bisogno di accogliere all’interno cinquanta clienti. Perché, come ricorda giustamente la politica Debora Serracchiani in studio, i tamponi rapidi hanno un margine d’errore che non consente di stare tranquilli dopo averlo fatto, e tra tutta quella gente poteva anche esserci un superdiffusore.
Perfino Maurizio Belpietro, in collegamento con Barbara d’Urso, pare perplesso sull’iniziativa: “se la legge dice una cosa bisogna rispettarla”, dice, pur sottolineando che gli aiuti alla categoria dovrebbero essere più cospicui e tempestivi, per evitare la ribellione dei ristoratori.
Eppure, l’idea dei tamponi all’ingresso non sembra essere così sbagliata, e meriterebbe forse di essere presa in considerazione, come già qualcuno tempo fa aveva suggerito. E il superdiffusore, facciamo notare a Debora Serracchiani, ci può essere a pranzo come a cena, e quantomeno con i tamponi all’ingresso un (seppur piccolo) margine di rischio viene evitato. Ma, in una situazione delicata e complicata come quella che stiamo vivendo, la valutazione dei rischi spetta a professionisti competenti, e le idee, magari, hanno più possibilità di essere prese in considerazione se affidate a una comunicazione credibile e non urlata.