Ok, immaginiamo che la domanda non possa che sorgere spontanea – che ci faceva un pomodoro nello spazio? Beh, partiamo dal presupposto che quello della produzione (ma anche del consumo, come potrete immaginare) di cibo nello spazio è di fatto uno dei capitoli più sfidanti nell’attuale stato dell’esplorazione spaziale. L’esperimento XROOT, avviato lo scorso anno, altro non è che un tassello di un più ampio mosaico di potenziali soluzioni; e aveva l’obiettivo di fare crescere delle piantine sulla Stazione spaziale internazionale e di raccoglierne i frutti “n vista di future missioni di esplorazione spaziale”.
Agricoltura nello spazio, in altre parole – una frontiera ancora macchiata da innumerevoli rompicapi logistici e biologici ma che potenzialmente potrebbe dare forma alla chiave per il futuro. Ma torniamo a noi, e al programma XROOT: l’astronauta NASA Frank Rubio, membro dell’esperimento in questione, ha raccolto nel marzo del 2023 il primo pomodoro (anzi, primi: erano due, a onore del vero) prodotto nello spazio, sigillandoli poi in una busta sottovuoto per analizzarli con calma in seguito. Un traguardo storico, se non fosse che poi la busta – con i pomodori al suo interno, badate bene – è poi scomparsa nel nulla.
Un piccolo pomodoro per l’uomo…
Un bel mistero. Una improvvisa incursione di alieni evidentemente appassionati di orticoltura? Il nostro Rubio ha ceduto a una fitta di fame improvvisa? Niente di tutto questo: pare che si sia trattato di banale disordine, di un caso di “Eppure giuro che lo avevo lasciato qui” – o almeno, questo è quanto ci fanno intendere dalla NASA.
“Nonostante sia passato circa un anno dalla sparizione dei pomodori i frutti sono stati ritrovati” ha fatto sapere la NASA con un comunicato stampa. “Erano disidratati, leggermente schiacciati e un po’ scoloriti. Ma, a parte questo, non mostravano nessun segno di crescita di muffa o di microbi”. Sappiamo che morite dalla voglia di scoprire dove fossero finiti, ma evidentemente l’agenzia spaziale ha dei segreti da mantenere.
La sperimentazione dell’agricoltura spaziale continua, nel frattempo. Tra i progetti di maggiore profilo, oltre a XROOT, si segnala soprattutto Planet Habitat-03, “uno dei primi studi multigenerazionali” fanno sapere dalla NASA “sulle piante a bordo della Stazione spaziale che potrebbe aiutare i ricercatori a valutare se gli adattamenti genetici che avvengono in una generazione di piante coltivate possono trasferirsi alle generazioni successive”.
“I benefici di coltivare piante nello spazio vanno oltre questi aspetti concreti” ha concluso l’agenzia spaziale. “Il tempo trascorso a occuparsi delle piante dà anche benefici psicologici agli astronauti, ne migliora la qualità della vita nello spazio e solleva il loro morale”. Un po’ come accade sulla Terra”.