Michael Jordan, George Clooney, Kendall Jenner, Elon Musk, Eva Longoria, The Rock: che cosa hanno in comune tutte queste celebrities? Hanno tutte un loro marchio di tequila, o quanto meno l’hanno avuto, vedi Clooney che il suo marchio, Casamigos, l’ha venduto a Diageo per un miliardo di dollari, perché piove sempre sul bagnato.
Si penserebbe che tanta ricchezza abbia portato alla terra d’origine del distillato di agave blu, il Messico, benessere e ricchezza, e invece le distorsioni del mercato hanno portato fluttuazioni dei prezzi e coltivazione sregolata.
I numeri della crisi
Attori, cantanti e starlette varie non sono certo proni all’innovazione per quanto riguarda gli investimenti: mettono a frutto il valore della loro immagine andando sul sicuro, e con la tequila finora non si sono mai sbagliati. Stando ai numeri del Tequila Regulatory Council, l’esportazione del distillato messicano è passato dai 224 milioni di litri del 2018 alla cifra record di 402 milioni dello scorso anno, soprattutto verso Stati Uniti, Germania, Spagna, Canada, Francia, Regno Unito, Cina, Australia, Colombia e Giappone i primi dieci mercati mondiali.
Il risultato è stata una corsa selvaggia alla coltivazione dell’agave blu che ha creato un eccesso di offerta e un conseguente calo dei prezzi. Javier Guzman, presidente dell’associazione dei coltivatori di agave racconta che ormai la pianta è ovunque e “alcune persone hanno venduto le loro aziende, hotel, terre e fattorie per iniziare a coltivare l’agave”. Una situazione che ha portato il prezzo di vendita a 40 centesimi al kilo, mentre una cifra che coprirebbe almeno i costi di produzioni si aggirerebbe sui 60. Ma se il costo delle materie prime crolla, quello del prodotto finito è raddoppiato negli ultimi sei anni.
Ovviamente c’è chi ne approfitta: i cosiddetti “coyotes”, intermediari senza scrupoli che approfittano della disperazione degli agaveros con troppo prodotto da smaltire, offrendogli anche solo 10 centesimi al kilo.
Nonostante l’immagine patinata e sfavillante dei molti endorsement vip, il settore della tequila, e soprattutto chi nel concreto la produce, ha davanti a sé un futuro incerto, che i dazi del 25% promessi dall’amministrazione Trump contribuiscono a peggiorare, mettendo in pericolo il principale mercato di riferimento, che assorbe l’85% della produzione del prodotto a denominazione di origine.