Quando il personale sanitario ha segnalato il primo focolaio di peste suina africana in Lombardia inevitabilmente il pensiero delle autorità regionali è andato alla imminente catastrofe economica che potenzialmente avrebbe potuto abbattersi sugli allevamenti e su tutta l’industria della trasformazione. D’altronde, è bene ricordare che la regione vanta di fatto il 90% degli allevamenti suinicoli nazionali, con il 50% del totale dei capi (il che, a onore del vero, dovrebbe fare sorgere dubbi sulle condizioni di vita degli animali all’interno degli allevamenti in questione): inutile sottolineare l’entità dei danni economici caso mai il morbo dovesse riuscire a penetrare all’interno del sistema.
La Lombardia e il piano per combattere la peste suina africana
L’idea della Lombardia, emersa durante una riunione tenutasi in Regione e a cui hanno partecipato le Ats, le associazioni degli allevatori (Cia, Confagricoltura e Coldiretti) e quelle degli industriali (Assica e Assocarni), è quella di creare una rete di macelli attrezzati a lavorare anche la carne di maiale proveniente dalle zone colpite dalla peste suina africana, in modo tale da non dovere rinunciare a immetterla sul mercato e tamponando quanto possibile i potenziali danni economici a cui abbiamo accennato in apertura di articolo.
Il piano poggia di fatto sule solida fondamenta delle norme comunitarie: “Il regolamento europeo prevede che anche gli animali provenienti da zone infette possano essere macellati, purché si rispettino due condizioni” ha spiegato a tal proposito Davide Calderone, direttore di Assica. “La prima è che i maiali devono provenire da allevamenti sottoposti a misure di “biosicurezza rafforzata”. La seconda è che i macelli designati siano in grado di garantire la separazione delle partite”.
A questo punto ci pare opportuno ricordare, salvo evitare allarmismi dannosi, che la peste suina africana non è affatto pericolosa per l’uomo: si tratta di fatto di un virus dal “palato fino” che attacca solo ed esclusivamente i suini. Anche con la creazione della sopracitata rete di macelli, tuttavia, rimangono una serie di problemi – il primo in assoluto rappresentato dall’export verso i Paesi al di fuori del blocco europeo, che si basa sugli accordi con i singoli mercati. Pensiamo al caso del Giappone, che solo recentemente ha riaperto all’import proveniente dallo Stivale.
La strada, in altre parole, non è affatto in discesa. Oltre alle difficoltà “diplomatiche”, poi, ci sono quelle di natura logistica: il primo obiettivo sarà quello di rafforzare la biosicurezza degli allevamenti, che prevede interventi anche piuttosto esosi, a cui seguirà il dover ottenere il semaforo verde dai macelli in grado di garantire il sopracitato binario parallelo.