Prima di affrontare il contenuto di questa nuova puntata di “Macchine Epiche contro Uomini Normalissimi” ci pare doveroso partire dal presupposto che “fare” il vino è materia scientifica, mentre berlo è anche e soprattutto materia umanistica. Vale poi la pena riconoscere il fatto che quella a cui appartengono i sommelier è una stirpe strana, ampiamente ma anche spesso giustamente perculata, con manierismi pesantemente solenni e anche un poco goffi, a tratti persino disturbanti; ma alla fine forte di una certa utilità – e umanità, beninteso. Motivo per cui, al leggere di uno studio pubblicato della Washington State University (WSU) che esalta la superiorità di una “lingua elettronica” sull’uomo non possiamo che reagire facendo un po’ di spallucce. Era scontato, no?
Partiamo con il mettere un po’ di puntini sulle i: la sopracitata “lingua elettronica”, ad esempio, è un filamento di sonde sensoriali che ha ben poca somiglianza fisica con la sua collega “organica”. Stando a quanto scoperto dai ricercatori, tale strumento sarebbe stato in grado di identificare i primi segni di microrganismi nel vino entro una settimana dalla contaminazione. Gli esseri umani, invece, hanno avuto bisogno di quattro settimane in più.
“Lingua elettronica” contro naso organico: i risultati dello studio
Vale poi la pena notare che la nostra Macchina Epica è capace di eseguire la stessa identificazione anche prima che i sopracitati microrganismi potessero svilupparsi da un campione di vino in una capsula di Petri (un metodo, quest’ultimo, già tradizionalmente utilizzato dai viticoltori per trovare eventuali difetti o deterioramenti). Il verdetto pare chiaro: “lingua elettronica” uno, esseri umani pietosamente biodegradabili zero.
Ok, battute a parte – la “lingua elettronica”, nella sua precisione assoluta, è evidentemente pensata per essere un utile ed esclusivo strumento nel processo di vinificazione: l’elemento più umano della degustazione, che è la soggettività, è ancora salvo. O almeno dovrebbe esserlo, ecco.
Una domanda, però, rimane – come funziona ‘sta “lingua elettronica”? Beh, più o meno come una lingua normale. Una volta immersi nel liquido, i sensori sono in grado di “assaggiarlo” analizzando e rilevando la presenza di determinati composti. Carolyn Ross, professoressa di scienze alimentari e autrice dello studio alla WSU, ha messo a punto una sorta di “impronta digitale” del vino raccogliendo una serie di informazioni potenzialmente utili ai viticoltori, e ha “tarato” l’analisi dello strumento di conseguenza.
“Se si analizzasse un campione utilizzando la “lingua elettronica”, potremmo sapere dopo appena una settimana se c’è stata una contaminazione o altri difetti nel vino, anziché aspettare altre quattro settimane con i normali test sensoriali” ha spiegato Ross.