È il formaggio italiano più venduto nel mondo, dopo il Parmigiano. Si chiama “Pecorino romano Dop” ma viene prodotto per il 97% in Sardegna.
Non basta: qualcuno potrebbe trovare quanto meno bizzarro che la sede del Consorzio del Pecorino romano si trovi a Macomer, provincia di Nuoro.
E allora?
Allora la Dop sul Pecorino romano, cancellatela. Questo stanno chiedendo i produttori laziali di pecorino romano, che vista la quota irrisoria a loro assegnata da parte del Consorzio Pecorino Romano, rispetto ai colleghi sardi, hanno richiesto con una lettera al Ministero delle politiche Agricole nonché agli enti preposti in sede UE di “escludere il territorio della regione Lazio dalla zona di produzione del perorino romano Dop, e quindi di cancellare la Dop stessa”.
Una richiesta a prima vista paradossale quella di rinunciare spontaneamente alla denominazione ottenuta nel 1996 e che vale un cospicuo giro d’affari, eppure nell’aria da tempo, non solo per “mettere fine a una comunicazione ingannevole nei confronti del consumatore”, come fanno sapere i produttori laziali, ma anche per motivi economici.
Il Consorzio Pecorino romano Dop tutelerebbe infatti eccessivamente allevatori e produttori sardi a discapito di quelli laziali, che spunterebbero un misero 3%.
Ogni anno, infatti, dei 250.000 quintali di pecorino prodotti e venduti in giro per il mondo –per un valore totale di 20 milioni di euro– il Consorzio Pecorino romano Dop assegnerebbe ai produttori laziali soltanto 6000 quintali: troppo pochi per i 3000 allevamenti, i 750.000 capi e le 359 imprese di trasformazione presenti nel territorio laziale, di cui oltretutto solo 3 accreditate a produrre pecorino romano.
Ma al netto della corretta comunicazione verso il consumatore, la vicenda presenta risvolti più pratici: ai produttori laziali è vietato l’impiego dell’aggettivo “romano” per altri formaggi che non siano il pecorino.
Con il risultato che il latte proveniente dagli allevamenti, in eccesso rispetto alla risicata quota loro assegnata dal Consorzio per la produzione di pecorino, deve essere venduto a Toscana e Umbria e non utilizzato per la produzione di altri formaggi con la dicitura “romano”.
Anzi, lo scorso ottobre, alcuni produttori laziali si erano anche visti sequestrare circa 550 caciotte –in seguito dissequestrate– perché marchiate con la scritta “romano” pur non essendo pecorino, e quindi non regolamentari.
Tutti motivi per i quali i produttori laziali hanno chiesto al Ministro dell’Agricoltura, oltre alla cancellazione della Dop sul pecorino “romano”, anche l’istituzione della denominazione “cacio romano Doc”, in modo da poter produrre altri formaggi con la dicitura “romano”.
Anche perché, come fanno sapere i produttori laziali “è inammissibile che dietro l’aggettivo “romano” ci siano tutti tranne quelli che il pecorino lo hanno inventato: come se si potesse produrre champagne ovunque tranne che nelle campagne francesi”.
[Crediti | Link: Il Messaggero]