C’è chi sputa sentenze con una cognizione di causa più o meno limpida e chi, con testa bassa e sguardo attento, valuta la lavagna del futuro. Si parla, come avrete intuito dal titolo, della produzione di vino dealcolato – branca della vinificazione che dalle cime incappucciate delle Alpi all’assolata Valle dei Templi è inesorabilmente bollata come “controversa” ma che, a oggi, ribolle di innovazione e opportunità di crescita.
Pare che l’abbia intuito anche e soprattutto la Francia che, seppur con comprensibilissima cautela, non si è fatta sfuggire il nero su bianco del regolamento Ue che già consentirebbe di dealcolizzare i vini a Indicazione Geografica. Il risultato? La scintilla della discussione si è già accesa. Brilla timidamente, come vedremo più avanti, ma brilla comunque: mentre da questa parte delle Alpi il ministro dell’Agricoltura dichiara che investire nel vino dealcolato non conviene, i cugini discutono di come e se autorizzare la dealcolazione e la produzione di vini dealcolati nelle denominazioni.
La Francia e il vino dealcolato: si procede con i piedi di piombo
Sovente, quando si parla di innovazione o più banalmente di novità, è facile cadere tentazione della fretta. C’è la comprensibile voglia di accaparrarsi una fetta di un mercato che, numeri alla mano, sta facendo registrare una crescita netta e promettente; c’è voglia di capire e di sperimentare; c’è forse anche un po’ di quella sana, seppur non sempre limpida, voglia di arrivare prima degli altri.
In Francia il vino è una questione seria, e come tutte le questioni serie va affrontato con la calma che si merita. Da qui l’approccio del Comité National des Appellations d’Origine relatives aux Vins (Cnaov) nei confronti del vino dealcolato – si procede con cautela, senza alcuna fretta, esplorando e registrando, con i proverbiali piedi di piombo.
Stando a quanto riportato dai colleghi di Vitisphere, giornale d’Oltralpe dedicato al mondo vitivinicolo, la Francia vuole prendersi il tempo per analizzare a dovere l’impatto della dealcolazione sulla qualità e sulla territorialità dei vini – aspetti naturalmente fondamentali quando si parla di etichette a denominazione -, valutare quali tecnologie utilizzare e anche e soprattutto dividere le sostanze coadiuvanti tra le proibite (come il glicerolo o l’acqua) e quelle invece consentite.
Valutazione che sarà di fatto accompagnata dal lancio di uno studio per valutare l’esistenza effettiva di un mercato per il vino dealcolato a denominazione. È tempo di agire, dice in definitiva la Francia, ma di farlo con calma e prudenza e occhi aperti – un approccio propositivo ma pragmatico che, da questa parte delle Alpi, evidentemente scartiamo a favore del parlare alla pancia.