“Salveremo la nostra carne” ha annunciato Ron DeSantis, governatore della Florida: parole più che eloquenti che ben si allineano con la recente decisione di criminalizzare e mettere al bando la produzione e la vendita di carne coltivata. Nell’intervento di DeSantis son manca, vale la pena notarlo, anche una certa dose di complottismo: “La Florida sta combattendo contro il piano dell’élite globale di costringere il mondo a mangiare carne coltivata in piastre di Petri o insetti per raggiungere i loro obiettivi autoritari”, ha spiegato.
È difficile parlare di novità, a dire il vero. L’eco di un semaforo rosso alla carne coltivata si era già fatto sentire qualche mese fa, spalleggiato dalle candide dichiarazioni delle autorità statali che, limpidamente, hanno ammesso di volere sbarrare la strada a questo ramo della ricerca alimentare per proteggere l’industria locale degli allevamenti.
La Florida come l’Italia: un’occhiata al “no” alla carne coltivata
La campagna di demonizzazione della carne coltivata era stata accompagnata da dichiarazioni che, permettetecelo, potremmo definire più o meno stralunate – la carne coltivata è “un affronto a Madre Natura e alla nazione”, aveva ad esempio spiegato Tyler Sirois, deputato repubblicano della Florida – e dall’uso sistematico di termini come “finta” per veicolare l’idea di un qualcosa di artificiale, di dannoso, di – per adottare un termine più noto anche al di qua dell’Oceano, e ben caro alle frange coldirettiane – sintetico.
La Florida, in altre parole, si allinea – per retorica e per finalità, di fatto – all’Italia; e ci pare corretto cogliere l’occasione per ricordarvi che, al netto della propaganda, la carne coltivata (e non sintetica!) viene di fatto coltivata in laboratorio a partire da un campione di cellule animali, evadendo – tra le altre cose – la necessità di macellare li stessi. Sintetica, semmai, può essere la plastica.
Anche considerando questa vicinanza di intenti, è tuttavia necessario notare che, a oggi, gli Stati Uniti occupano una posizione pioneristica complessivamente superiore a quella del nostro caro e vecchio Stivale: il settore della carne coltivata è di fatto sottoposto a una stretta supervisione sia da parte della Food and Drug Administration (FDA) che del Dipartimento dell’Agricoltura degli Stati Uniti (USDA). Attualmente solo due società – Good Meat e Upside Food – hanno ottenuto il semaforo pienamente verde per debuttare i propri prodotti coltivati nel mercato locale.
La messa al bando della Florida, definita “miope” dall’opposizione statale – “L’industria del bestiame ha fatto pressioni contro la carne coltivata, quindi ora stiamo vietando un’intera industria nel nostro stato”, ha riassunto con una certa amarezza Lori Berman, una dei 10 senatori democratici della Florida che hanno votato contro il disegno di legge -, può in altre parole essere intesa come un neo in un contesto che invece pare aperto alla sperimentazione: l’Italia, invece, ha fondamentalmente preferito uccidere sul nascere la propria filiera della carne coltivata (filiera che, è giusto sottolinearlo, avrebbe potuto rappresentare una potenziale eccellenza e spingere il Made in Italy tanto caro al governo verso una dimensione innovativa).