Il comparto della birra in Italia trema e traballa. Dopo il calo durante la pandemia, il 2021 aveva fatto ben sperare con un 2022 che aveva dimostrato di essere pronto per la ripartenza. Ma poi è arrivato il tracollo del 2023: i dati di metà anno, analizzati da Osservatorio Birra, non sono per niente confortanti. E tutta la filiera teme le eventuali ripercussioni di un aumento delle accise: sarebbe la “mazzata finale” per questo settore.
Qual è il destino della birra in Italia?
Il settimo rapporto “La creazione di valore condiviso del settore della birra in Italia”, realizzato da Althesys e presentato proprio da Osservatorio Birra, non è stato proprio confortante. Tenendo conto che l’effetto moltiplicatore del valore cresce per ogni passaggio nella filiera brassicola e che vale la stessa cosa anche al contrario, ecco che si deduce che quando i produttori entrano in crisi (parte della filiera che rappresenta solo una minima porzione del valore condiviso che la birra porta all’Italia), tutta la filiera ne risente.
E se su un comparto che non sta andando nella direzione sperata, si aumentando di nuovo anche le accise, il tracollo è quasi assicurato.
La filiera brassicola è vessata dagli stessi aumenti che, in misura minore, ricadono anche su di noi: aumento dei costi di produzione, rincari energetici e inflazione, a cui bisogna aggiungere la riduzione del potere di acquisto degli italiani.
Ma guardiamo un po’ di dati. Nel 2022 la filiera della birra era finalmente riuscita a sfondare per la prima volta in assoluto il tetto dei 10 miliardi di euro di valore condiviso, segnando un +9,2% rispetto al 2021, anno in cui la situazione era comunque andata benissimo. Sempre nel 2022, c’era stata una crescita del +4,1% in volume, con l’Ho-RE-Ca. salita dal 32,6% al 35,8%, un +8% del numero dei dipendenti e 4,3 miliardi pagati al fisco (e di questi 707 milioni di euro sono solo di accise).
Secondo lo studio, poi, la birra porta ricchezza non solo a chi la produce, visto che i birrifici beneficiano solamente dell’1,3% dei 10,2 miliardi di valore condiviso. Tutto il resto, infatti, va suddiviso fra i lavoratori di tutta la filiera e lo Stato. A beneficiarne di più sono soprattutto distribuzione e vendita, con un valore di 8.102 milioni di euro, mentre lo Stato ottiene 4 miliardi e 278,8 milioni di euro considerando IVA, imposte e contributi sul reddito e il lavoro. Ai salari vanno 2,8 miliardi di euro.
Tutto sembrava dunque andare benissimo nel 2022, ma ecco che nel 2023 qualcosa si è inceppato. In realtà già nel 2022 qualcuno aveva fatto notare che il continuo aumento dei costi di produzione (per i birrifici si parla di un +50%), avrebbe avuto ripercussioni notevoli.
E così è stato: nel corso del primo semestre del 2023 la tendenza si è letteralmente invertita, l’inflazione non ha dato scampo e a farne le spese è stata anche la birra. Il valore condiviso, infatti, è calato del -3%, quindi di circa 120 milioni di euro.
In questo clima così difficile nessuno nella filiera è poi contento del fatto che, a partire dal 1 gennaio 2024, le accise aumenteranno ancora. Anche un aumento di pochi centesimi dell’accisa sulla birra danneggerebbe tutti:
- produttori: devono già fronteggiare costi di produzione e rincari insostenibili
- esercenti: per loro si riducono i margini di guadagno
- consumatori: fra IVA e accise si ritrovano sempre e comunque a pagare di più (considerate che in una birra alla spina, 80 centesimi sono di accise, mentre su una bottiglia da 0,66 le accise contano per il 40% del prezzo di vendita)
- Stato: la birra è l’unica bevanda da pasto con le accise. In passato, quando lo Stato aveva deciso di abbassare le accise, aveva finito con il guadagnare di più (nel triennio 2017-2019 aveva registrato un +27% delle entrate erariali). Il che ci sta: meno accise vogliono dire prezzi più bassi, consumatori che ne possono comprare di più e produttori che hanno nuovi margini per investire