Vi capita d’improvviso d’avere un appetito incontenibile? Non resistete agli spuntini? Vi alzate che avete già fame e andate a letto che ne avete ancora? Sgranocchiate sempre qualcosa? Mentre lavorate? Mentre leggete? Mentre guadate la TV? Il vostro gesto preferito è aprire il frigo?
Bene. Vi capisco. Sono anche io così. Mangiare mi piace oltre ogni cosa. E, onestamente, lo faccio spesso.
Ma è niente, nulla, zero in confronto a quanto mangiava Tarrare.
Non sapete chi fosse Tarrare? Neanche io fino a qualche settimana fa. Quando me ne ha parlato uno dei migliori gelatieri italiani che ha la ventura di essere un cultore di storie strane, di curiosità da wunderkammer: Gianfrancesco Cutelli (sua la Gelateria de’ Coltelli di Pisa).
[Come si riconosce il gelato artigianale con Gianfrancesco Cutelli]
Tarrare nacque esattamente tre secoli prima di me, nel 1772, in quella che sarebbe diventata la capitale mondiale del cibo: Lione. Fu un avventuriero, un poco di buono, un girovago, ma soprattutto un fenomeno da baraccone.
La sua peculiarità? Mangiava a più non posso. Senza fine. In maniera così esagerata che una carovana lo mostrava in pubblico mentre ingollava “tappi, sassi, animali vivi e un intero cesto pieno di mele.”
Durante la guerra della Prima Colazione Coalizione mangiava quello che trovava: spazzatura, roba marcia, gatti, serpenti, lucertole, anguille intere ingoiandole senza masticarle. Vuole il mito che venisse usato come corriere: inghiottiva i documenti e poi li defecava a vantaggio del destinatario.
[Mangiare troppo velocemente fa male alla salute?]
Per le sue “doti” fu notato dai medici e sottoposto a innumerevoli esperimenti, e in ospedale –vuole il mito– provò a mangiarsi anche qualche cadavere. Mangiava per quindici, letteralmente, e da ragazzo sbranava un quarto di vitello dal peso superiore al proprio in un giorno.
Morì giovane, ventiseienne. E pare, col senno di poi, che soffrisse di ipertiroidismo e iperfagia, non è certo.
Ma le leggende non hanno bisogno di dettagli, se non funzionali al mito.
E di certo lo è il fatto che Tarrare addebitasse la propria malattia a una cosa che aveva ingerito tempo prima di stare male.
Una forchetta. D’oro.