Il tartufo è patrimonio dell’umanità Unesco: o meglio, la “Cerca e cavatura del tartufo in Italia: conoscenze e pratiche tradizionali” sono entrate nel patrimonio culturale immateriale. La decisione su una candidatura proposta tempo fa era attesa per oggi ed è arrivata, positiva. La ‘Cerca e cavatura del Tartufo in Italia’ rappresenta un patrimonio culturale immateriale di conoscenze e pratiche tramandate oralmente per secoli che caratterizzano la vita rurale dei tartufai nei territori tartufigeni italiani. Un patrimonio di conoscenze vaste, incentrate sulla profonda conoscenza dell’ambiente naturale e dell’ecosistema, che enfatizza il rapporto tra uomo e animale, riunendo le competenze del tartufaio e quelle del cane con la sua capacità olfattiva, di cui l’uomo è abile addestratore e con il quale crea un rapporto simbiotico. Una tradizione antica che racconta di una pratica che accomuna l’Italia dal Nord al Sud declinata secondo l’identità culturale locale, tramandata attraverso storie, aneddoti, pratiche e proverbi che raccontano di un sapere che riunisce vita rurale e tutela del territorio.
Secondo una fonte dell’Ansa l’Unesco già in fase di decisione evidenziava come la cava e cerca del tartufo in Italia sia “un insieme di conoscenze e pratiche trasmesse oralmente nel corso dei secoli, tutt’ora caratterizzante la viva rurale di diverse comunità diffuse in tutto il territorio nazionale. La tecnica della cava e cerca del tartufo attiene ad una serie di conoscenze e competenze relative al clima, all’ambiente, alla biodiversità, e che impongono una gestione sostenibile dell’ecosistema”. Ma vengono anche rilevati aspetti problematici, come i richiami affinché l’Italia si adoperi per evitare che il riconoscimento venga usato per finalità esclusivamente commerciali e non per favorire pratiche sostenibili del turismo nonché misure di salvaguardia effettive dei cani da cerca.
L’arte della ricerca del tartufo coinvolge circa 73.600 tartufai, riuniti in 45 gruppi associati nella Federazione Nazionale Associazioni Tartufai Italiani (FNATI), da singoli tartufai non riuniti in associazioni per un totale di circa 44.600 unità e da altre 12 Associazioni di tartufai che insieme all’Associazione Nazionale Città del Tartufo (ANCT) coinvolgono circa 20.000 liberi cercatori e cavatori. Il tartufo è un fungo, ma con questo nome si indicano specie molto differenti (non c’è solo bianco e nero), soprattutto relativamente alla possibilità di coltivazione.
La ricerca del tartufo affianca numerosi altri aspetti culturali italiani entrati nella lista dei beni immateriali: tra questi, molti riguardano l’alimentazione, come la dieta mediterranea (2010), la vite ad alberello di Pantelleria (2014), l’arte dei pizzaiuoli napoletani (2017); ma ci sono anche beni paesaggistici come le Colline del Prosecco.
La candidatura ha avuto una lunghissima gestazione: la comunità aveva presentato un primo dossier al Ministero della Cultura e al Ministero dell’Agricoltura otto anni fa, che però non risultava in linea con la Convenzione Unesco del 2003. Dopo un continuo confronto con i Ministeri, a marzo 2020 è stata presentata, dal Ministero degli Esteri, la candidatura all’Unesco. Nel 2021 l’organo degli esperti mondiali ha valutato il dossier e ad ottobre ha reso noto la valutazione positiva sulla quale c’è poi stata la decisione finale del Comitato.
Una candidatura di carattere nazionale per l’Italia, che ha visto il coordinamento tecnico-scientifico istituzionale del Servizio II- Ufficio UNESCO del Segretariato Generale del Ministero della Cultura (MiC), il cui percorso è stato seguito e implementato dalla partecipazione diretta e costante della vasta comunità che si identifica nell’elemento, una rete interregionale nazionale composta dall’Associazione nazionale Città del tartufo (Anct), soggetti riuniti in gruppi associati nella Federazione nazionale associazioni tartufai italiana (Fnati), da altre libere Associazioni e da singoli Tartufai.