L’Italian sounding è quella pratica che battezza prodotti – in questo alimentari, ma naturalmente il fenomeno è esteso anche ad altri contesti – con nomi che, di fatto, “suonano” italiani, ma non lo sono affatto. Un po’ una sorta di supercazzola alla Prisencolinensinainciusol? No, non proprio – si tratta di un inganno che, in parole povere, tenta di poggiare (e di sfruttare) sulla reputazione qualitativa del Made in Italy. Un inganno che paga, evidentemente: stando a quanto emerso da un rapporto realizzato da The European House – Ambrosetti e ISMEA, infatti, il commercio dei falsi prodotti italiani vale quasi quanto l’intero export agroalimentare dello Stivale. Mica spicci.
Italian sounding: l’export agroalimentare potrebbe raddoppiare il suo valore
Bando alle ciance e diamo un’occhiata ai numeri: nel 2022 il fenomeno dell’Italian sounding ha messo a segno un valore complessivo di circa 91 miliardi di euro, di cui 60 miliardi spesi da consumatori stranieri desiderosi di acquistare prodotti italiani e pertanto ingannati dalle sopracitate tecniche di marketing. In altre parole, i 60 miliardi in questione sarebbero stati – milioncino in più milioncino in meno – destinati all’acquisto di prodotti, di fatto, di origine italiana; solo per poi essere “dirottati” dalla maschera di qualche imitazione.
60 miliardi è per di più un numero particolarmente significativo soprattutto se consideriamo che l’export agroalimentare complessivo dell’Italia ne vale “appena” 59 – il che significa, come accennato, che se il fenomeno in questione venisse adeguatamente contrastato il flusso economico potrebbe raddoppiare da quasi 59 a 119 miliardi di euro.
“Adeguatamente contrastato” – più facile a dirsi che a farsi, naturalmente. La proposta dello studio Ambrosetti-ISMEA è quella di declinare la lotta all’Italian sounding in tre scenari: il primo si affida esclusivamente agli investimenti privati e implica che ci vorrebbero 27 anni per convertire l’Italian sounding in export tricolore; il secondo è composto da una combinazione di investimenti rapportati a innovazione e digitalizzazione, ma stima comunque un lasso di tempo pari a 15 anni per recuperare il fatturato perso; e il terzo, nonché ultimo, include anche l’impiego dei fondi del PNRR consentendo di arrivare entro 11 anni all’obiettivo prefissato.
“L’obiettivo del rapporto che abbiamo dedicato all’Italian sounding” ha spiegato Benedetta Brioschi, Associate Partner e Responsabile Food&Retail, The European House – Ambrosetti ” è quello di dare una direzione per un percorso di investimenti tra pubblico e privato che permetta alle nostre imprese di soddisfare la voglia di Made in Italy nel mondo e riconquistare quei 60 miliardi di euro spesi oggi dai consumatori esteri che credono di acquistare prodotti italiani”.